
The Fabelmans
(USA/2022) di Steven Spielberg (150') | Arena Puccini 2023
The Fabelmans
Regia: Steven Spielberg
Interpreti: Gabriel LaBelle, Michelle Williams, Paul Dano, Seth Rogen, Julia Butters, Oakes Fegley
Origine e produzione: USA / Steven Spielberg, Tony Kushner, Kristie Macosko Krieger, Amblin Entertainment, Reliance Entertainment
Durata: 151’
Il giovane Sammy Fabelman si innamora del cinema dopo che i genitori lo portano a vedere il film “Il più grande spettacolo del mondo”. Armato di una cinepresa, Sammy inizia a girare i suoi film a casa, per la gioia della madre che lo sostiene.
- Golden Globe 2023 come miglior film drammatico, miglior regia a Steven Spielberg.
- David di Donatello 2023 come miglior film straniero.
“Quasi a contraddire la sua immagine di regista «per le masse», l’autobiografia attraversa in modo esplicito gran parte dell’opera di Steven Spielberg, a partire dal road movie giovanile, Sugarland Express, punteggiandola di istantanee di famiglia su temi ricorrenti – la rottura tra i genitori, l’abbandono, la fuga nei mondi dell’immaginazione, l’amore incondizionato per la madre, la solitudine infantile, il rapporto distante con il papà. A volte è più esplicita, come in ET, Incontri ravvicinati del terzo tipo e A.I., a volte nascosta sotto false spoglie, come nell’adattamento da Ballard L’impero del sole. Sempre in dissonanza, qui con lo stereotipo secondo cui il cinema spielberghiano è edulcorato e sentimentale, si tratta di un’autobiografia striata di malinconico, con momenti dolorosissimi (la scena in cui la mamma lascia il bambino robot in A.I.; l’ostinazione surreale con cui Lou Jean cerca di tenere insieme la sua famiglia in Sugarland Express, l’addio di Elliot a ET…). The Fabelmans ricompone il puzzle di quelle istantanee in chiave lineare, aggiungendo una dimensione più letterale allo slancio biografico originario.
Alla sceneggiatura non è Spielberg ma Tony Kushner, l’autore/drammaturgo ebreo newyorkese, che finora ha meglio sposato sulla carta le passioni e ossessioni del regista. A seguire le collaborazioni su Munich, Lincoln e West Side Story, la sceneggiatura di The Fabelmans è il frutto di una serie di conversazioni tra i due, via zoom, dopo che Spielberg, durante la pandemia, aveva deciso di raccontare la storia di quello che ha definito il momento «formativo» della sua vita, tra i sette e i sedici anni.
Il film inizia nel 1952, mentre i Fabelmans – una famiglia ebraica del New Jersey, con echi da romanzo di Philip Roth- si preparano per portare il figlio Sammy (Meteo Zoryn Francis Deford da piccolo; Gabriel LaBelle quando cresce) al cinema. Mitzi (Michelle Williams), promotrice dell’idea, anticipa che il bambino sarà entusiasta, mentre suo marito Burt (Paul Dano) pensa esattamente l’opposto e preferirebbe non uscire in una sera freddissima. Quei sentimenti contrastanti – l’entusiasmo infantile di lei e lo scetticismo schivo del marito – li accompagnano nel viaggio in macchina e diventeranno, in un certo senso, uno dei leitmotiv del film. Sammy non manifesta inclinazioni particolari né in un senso né in un altro, fino a che sullo schermo, davanti ai suoi occhi, non esplode il clamoroso disastro ferroviario inscenato da Cecille B. De Mille in The Greatest Show on Earth. Da quella scena, il bambino non si riprenderà più.
[…] Per Sammy filmare non è tanto catturare la realtà, quanto costruirla – western, film di guerra, di rapina – sempre più elaborati e spettacolari. […] Ma il mondo che, attraverso l’obbiettivo, si fa cinema non è sempre controllabile. Anzi. Sammy avrà la sua lezione più dura nelle scene che stanno al cuore di The Fabelmans, quando le immagini catturate nel suo girato gli rivelano cose che non avrebbe voluto vedere, o sapere. L’elemento scatenante è un picnic in Arizona, durante il quale Mitzi improvvisa una strana danza, come se fosse una ninfa del bosco, un po’ meravigliosa un po’ ridicola. […]
Candido al punto di essere meno patinato, più spigoloso, quasi farraginoso a tratti, della materia cinema a cui Spielberg ci ha abituato, The Fabelmans è un film profondamente affascinante, anche dal punto di vista teorico (e uno vorrebbe veramente vedere le registrazioni degli zoom tra lui e Kushner). Apertosi con DeMille, chiude – in grande – con John Ford, che il regista incontrò a sedici anni.”
Giulia D’Agnolo Vallan, Il Manifesto