
Bones and all
(Italia-USA-GB/2022) di Luca Guadagnino (131') | Arena Puccini 2023
Bones and All
Regia: Luca Guadagnino
Interpreti: Taylor Russell, Timothée Chalamet, Mark Rylance, Michael Stuhlbarg, Jessica Harper, André Holland, Chloë Sevigny, David Gordon Green
Origine e produzione: USA, Italia / Timothée Chalamet, Francesco Melzi d'Eril, Luca Guadagnino, David Kajganich, Lorenzo Mieli, Marco Morabito, Gabriele Moratti, Theresa Park, Peter Spears, Metro-Goldwyn-Mayer, Frenesy Film Company, Memo Films, Per Capita Productions, 3 Marys Entertainment, The Apartment Pictures, Tenderstories, Ela Film, Immobiliare Manila, Serfis, Wise Pictures
Durata: 130’
L'amore sboccia tra una giovane emarginata sociale e un vagabondo diseredato mentre si imbarcano in un'odissea di 3.000 miglia attraverso le strade secondarie dell'America.
- Leone d’Argento alla regia a Luca Guadagnino e Premio Marcello Mastroianni a Taylor Russel alla Mostra del Cinema di Venezia 2022.
“Non è semplicemente il cinema di «genere» il riferimento di Guadagnino (non a caso viene in mente un film come Trouble Every Day, 2001, di Claire Denis) sin dalle primissime sequenze che affermano una volta in più il suo talento di regista senza il bisogno di «gonfiare» le proprie immagini: gli basta il cinema, il suo respiro, la messinscena che ne conosce segreti e con passione non si ripiega mai su sé stessa. La storia dei giovani cannibali disegna una geografia dell’immaginario, l’America del mito in cui il registra si muove seguendo le tracce della sua cinefilia, e nel battito di un’emozione contemporanea, universale, che mischia ogni genere possibile, ne tradisce i limiti, si fa segno di una invenzione e di una rottura come lo sono quelle due figure che vi vagabondano messe ai margini dal loro desiderio.
[…] Bones and all è una storia d’amore e un on the road nella sua «tradizione» più classica che attraversa accompagnato da una colonna sonora modulata senza insistenze le grandi pianure del Midwest, fuori dalla metropoli, nei suoi orizzonti del mito, le gas station, i motel, i furgoni dove dormire, vivere, baciarsi, il deserto. La strada dei due ragazzi è solitaria perché quella è la loro condizione, gli altri, i «normali», che negli incontri casuali diventano a volte cibo, non potrebbero accettarli sono mostruosi, e sono un pericolo, ma anche da chi è come loro si deve fare attenzione, potrebbero ucciderli per divorarli.
Maren (Russell) vorrebbe sottrarsi, Lee sembra invece più sicuro quasi sorpreso dalla sua consapevolezza arrivata così tardi. Lei cerca sua madre, l’origine della sua storia, il padre di Lee è scomparso ma il ragazzo parla poco di sé o della famiglia e della cittadina da cui è fuggito e dove torna solo qualche volta quasi di nascosto per ritrovare l’amatissima sorella. In quel paesaggio senza riferimenti, dove ogni posto sembra uguale agli altri, i due ragazzi si inseguono, si perdono, si ritrovano, condividono lacrime e dolcezza, la violenza del sangue e della carne, di una pulsione che gli intossica la vita, che li schiaccia in un assoluto da cui è quasi impossibile fuggire.
«Le ossa e tutto», il «pasto completo», l’esperienza sublime gli dice uno di loro, uno dei tanti redneck impastati di violenza e razzismo, con l’amico poliziotto voyeur che ama guardarlo mangiare e anche se non ne ha bisogno lo fa lo stesso. Che America è questa reaganiana degli anni Ottanta di cui arrivano gli echi dalle tv? L‘America di Giuliani e dell’Aids che chiede di reprimere, di censurare, reprimere, condannare ogni libertà specie sessuale? Chi divora chi? Quale violenza, quale dolore, chi sono a subirli? […] Maren e Lee sono come un insieme che si completa, possono esistere solo uno nell’altra, un legame esclusivo, assoluto, che è fatto di respiri, sogni, paure, pensieri, che li rende un unico corpo, sublime e disperatamente bellissimo. In questo intreccio Guadagnino costruisce questo incontro che ne racchiude infiniti altri, e nelle filigrane di ciascuno afferma la necessità di un’indipendenza del cuore e delle emozioni, della vita. Un gesto d’amore come è quello che dichiara il suo cinema.”
Cristina Piccino, Il Manifesto