27 luglio 2017, 21:45 @ Piazza Maggiore

Forza maggiore

(Fra-Sve-Nor-Dan/2014) di Ruben Östlund (118') | Introduce Vieri Razzini (Teodora Film)

Östlund è al suo terzo lungometraggio e viene dal documentario sciistico – strana specialità messa a frutto magnificamente in un film tutto sulla neve e con un solo ‘effetto speciale’ quasi all’inizio, che però è alla base della narrazione. Soprattutto è svedese e si presenta come uno dei pochi eredi dell’insegnamento di Ingmar Bergman, il più grande tra i registi di quella cultura, del Bergman che più crudamente ha voluto mettere a nudo le pulsioni profonde degli uomini del Novecento, ancora comprensibili agli uomini di oggi nonostante la mutazione in corso. Sotto la patina della civiltà, un egoismo primordiale, istintivo, che si esprime qui nella viltà del maschio e nella dedizione ai figli della femmina. La progressione di questa crisi è raccontata con una precisione psicologica e narrativa memore delle analisi spietate e dolorose di tanti film di Bergman, ma con in più e di diverso l’ambientazione, quell’indifferente natura su cui Bergman infine sorvolava per la sua volontà di un maggiore, a volte quasi insostenibile, scavo nella tragedia, banale e priva di ogni grandiosità, che può nascondersi in ogni tentativo di un rapporto tra le persone, e nel confronto di ciascuno con la propria natura, con il male (non solo in una visione ‘da nordici e protestanti’) che si annida in ciascuno e che rende così problematico l’incontro autentico con l’altro. Östlund non ci appare così pessimista sull’uomo come infine era Bergman, i suoi scavi nella pochezza del protagonista (e sulla pochezza morale degli uomini rispetto a quella delle donne) sono meno radicali, attenuati da una volontà di comunicazione e di messaggio (di spiegazione, di fluidità narrativa, di coinvolgimento degli spettatori). In definitiva, Östlund cerca di salvare il salvabile sapendo quanto sono comuni la precarietà e la fragilità delle nostre esistenze, e riaffermando una qualche fiducia nell’uomo (e soprattutto nella donna) in un’ambigua soluzione che però riafferma il gruppo (l’umanità, l’incertezza e debolezza di cui tutti partecipiamo, la comunanza della sorte) e la famiglia (il nucleo essenziale, la tana protettiva) come delicate necessità.