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Comune di Bologna

Album "Baudolino"

In questa gallery raccogliamo documenti che illustrano la genesi e la vita editoriale del romanzo Baudolino di Umberto Eco (2000), che fanno riferimento ai temi trattati nell’opera o hanno fornito una base informativa per l’autore. Questa non vuole essere un’analisi scientifica ed esaustiva di fonti e documenti utilizzati dall’autore né tantomeno un’interpretazione critica.

Quello che qui proponiamo è il resoconto di un’esperienza di lettura e di ricerca nel patrimonio della nostra biblioteca (con alcune escursioni su altre raccolte documentarie). Non c’è quindi nessuna pretesa di una presentazione esaustiva dei molti argomenti e dei molti materiali che il romanzo potrebbe suggerire, ma la volontà di compiere una scelta sulla base di motivazioni anche episodiche e dettate dall’interesse dei lettori e dalle discussioni che il gruppo di lettura ha sostenuto negli incontri precedenti.

L’indicazione delle pagine del romanzo citate si riferisce alla prima edizione, pubblicata nel 2000 dall’editore Bompiani. Di Baudolino sono comunque sempre citati anche i capitoli da cui sono tratte le citazioni, per facilitarne l’individuazione in altre edizioni.

I documenti utilizzati sono quasi totalmente conservati e consultabili presso la Biblioteca dell’Archiginnasio di Bologna. Salvo dove diversamente specificato la collocazione indicata è quindi relativa a questa biblioteca.

immagine di Umberto Eco, Baudolino (2000)
Umberto Eco, Baudolino (2000)
Baudolino è il quarto romanzo di Umberto Eco. Esce nelle librerie nel 2000, come di consueto per la casa editrice Bompiani. Viene successivamente riproposto in altre edizioni ma senza nessuna modifica o testo integrativo di mano dello stesso Eco o di altri. L’autore ne racconta la genesi nell’articolo Come scrivo (in Umberto Eco, Sulla letteratura, p. 342-379), versione accresciuta di un testo pubblicato una prima volta nel 1996. Eco sottolinea la particolarità di questo nuovo romanzo rispetto alla nascita dei tre precedenti, tanto che il paragrafo dedicato al testo che ci interessa si intitola L’eccezione di Baudolino (p. 360-364). Per scriverlo infatti l’autore non è partito da un’idea seminale ben precisa - come aveva fatto per Il nome della rosa, Il pendolo di Foucault e L’isola del giorno prima - ma da almento tre idee, una delle quali abbandonata durante il percorso di creazione. Inoltre non è stata la costruzione del mondo a determinare lo stile del romanzo, che è invece nato per altre motivazioni e scelte. Di come sia nato il romanzo, Eco discute anche con Thomas Stauder in un capitolo del recente Colloqui con Umberto Eco, che riprende un’intervista del 2001 (p. 105-123). Fra le idee seminali da cui è nato Baudolino c’era quella di raccontare la storia di «un gruppo di personaggi che costruivano dei falsi» (ivi, p. 361). Il tema del falso come «motore di molti eventi della storia» (Umberto Eco, La forza del falso, in Id., Sulla letteratura, p. 309-341: 310), era già stato al centro di un testo narrativo del professore alessandrino, Il cimitero di Praga. La distanza cronologica che intercorre fra le vicende raccontate nei due romanzi dimostra come per Eco questa fosse da considerarsi una costante del dispiegarsi degli eventi della storia, interpretata però in maniera molto varia nelle diverse epoche storiche. Autentiche notizie false è il titolo della sezione dedicata a Baudolino nel catalogo della mostra della Biblioteca Braidense che esponeva i libri antichi provenienti dalla collezione di Eco (L'idea della biblioteca. La collezione di libri antichi di Umberto Eco alla Biblioteca nazionale Braidense, p. 145-153) e che consigliamo di sfogliare in quanto integra con ulteriori spunti le suggestioni documentarie che vogliamo presentare in questa gallery. La sezione è curata da Costantino Marmo, autore in questo stesso volume del saggio Monaci, inquisitori, sciapodi e blemmi: la scelta del Medioevo da sognare (p. 33-48). Segnaliamo anche in questo catalogo la sezione dedicata a Storia della bellezza e Storia della bruttezza, curata da Anna Maria Lorusso (p. 175-181), il cui titolo, Formosità deformi e formose deformità, testimonia la vicinanza a tematiche protagoniste anche di Baudolino. In questi due volumi sono di particolare interesse per il nostro discorso il capitolo La bellezza dei mostri (in Storia della bellezza, p. 130-153) e il capitolo Mostri e portenti (in Storia della bruttezza, p. 106-129). Sulla stessa tematica del «rapporto tra verità e menzogna» e della «capacità di creare Storia vera dalla parola falsa» insiste anche Alessio Pezzella nell’articolo Metanarrativa e verità in Baudolino (in Prove di forza del falso. Studi su Umberto Eco, p. 33-64: 33). I temi suggeriti nelle righe precedenti e che saranno protagonisti, non unici, di questa gallery - il falso, il fantastico, l’eccezionalità estetica che sfocia nel mostruoso - sono ben sintetizzati dall’immagine che campeggia sulla copertina della prima edizione del romanzo: la miniatura di un uomo-aquila tratta da un esemplare manoscritto del Roman d’Alexandre datato 1338 e conservato presso la Oxford Bodleian Library. Ricordiamo infine che Baudolino ha ispirato una serie di 26 tavole illustrate da Vito Boggeri, pubblicate in un volumetto intitolato Alla ricerca di Vito. Tra sabbie cartoni e favole. 26 tavole di Vito Boggeri sul Baudolino di Umberto Eco. Ad ogni tavola viene associato un brano del romanzo.   Umberto Eco, Baudolino, Milano, Bompiani, 2000. Collocazione: CAGLI F. 55
immagine di San Baudolino
San Baudolino
Il romanzo di Eco è senza dubbio anche un gesto d’amore verso la propria città d’origine, Alessandria, della quale viene raccontata - con quella commistione fra storia e leggenda che è propria di tutto il testo - la fondazione, avvenuta il 3 maggio 1168. Baudolino è il nome del santo patrono della città. Un breve aneddoto su di lui viene citato da Paolo Diacono nel sesto libro della storia dei Longobardi. In questa immagine se ne può leggere la versione originale latina, tratta da un’edizione dell’opera del 1532. In queste pagine è possibile leggere una traduzione in volgare edita nel 1548 da Lodovico Domenichi. Per un’edizione moderna di quest’opera si veda Pauli Diaconi Historia Langobardorum, in cui l’aneddoto su san Baudolino, sia nell’originale latino che in traduzione italiana, si trova alle p. 306-309. Questo stesso racconto viene ripreso da Eco nel penultimo capitolo del suo romanzo, quando Baudolino diventa stilita e per qualche tempo diviene oggetto di venerazione popolare, quasi alla stregua di un santo.   Eutropii Insigne volumen quo Romana Historia vniuersa describitur, ex diuersorum authorum monumentis collecta ... Additae sunt Graecorum imperatorum uitae de rebus in Oriente & Constantinopoli, Persia, Arabiaque gestis, de quibus hactenus Latinis parum constabat. Quidam Annales Constantinopolitanos appellant. Opus indignum certè quod in tenebris tam diu delituerit. Pauli Diaconi Aquileiensis De gestis langobardorum libri 6, Basilea, in officina Frobeniana, 1532. Collocazione: 5. D. II. 14
immagine di Il miracolo di San Baudolino
Il miracolo di San Baudolino
Eco scrive un breve testo intitolato Il miracolo di San Baudolino in cui, oltre a citare l’aneddoto narrato da Paolo Diacono, inserisce anche riflessioni non tanto sulla città di Alessandria quanto sui suoi concittadini, su un loro particolare atteggiamento che è perfettamente rispecchiato nell’episodio citato dallo storico dei Longobardi. Questo testo viene pubblicato una prima volta nel volume Strutture ed eventi dell'economia alessandrina da cui è tratta questa pianta della città datata 1657. Ferdinand Opll nell’articolo Federico Barbossa come fondatore delle città italiane Lodi, Alessandria/Caesarea, Crema (in Lodi tra il Barbarossa e la Lega Lombarda. Atti del Convegno, Lodi 8-15-22 novembre 2008, p. 83-136) afferma che le evidenze documentarie non permettono di identificare la topografia primitiva della città. Il testo di Eco su san Baudolino viene pubblicato autonomamente nel 1990, arricchito dalle illustrazioni di Mario Annone, e inserito poi, con alcune modifiche, in Il secondo diario minimo (p. 329-339). Sulla nascita di Alessandria e la sua rifondazione da parte di Federico si veda anche Paolo Grillo, Le guerre del Barbarossa. I comuni contro l'imperatore, p. 159-162, 184-187.   Umberto Eco, Carlo Beltrame, Francesco Fort, Strutture ed eventi dell'economia alessandrina, Milano, La pietra, 1981. Collocazione: GUARINI D. 53
immagine di Alessandria (poco) leggendaria misteriosa insolita fantastica
Alessandria (poco) leggendaria misteriosa insolita fantastica
In Il miracolo di San Baudolino Eco scrive:   «Se sfogliate la Guida all’Italia leggendaria misteriosa insolita fantastica (Sugar) alle pagine iniziali, dove una serie di cartine segna la distribuzione di esseri fantastici nelle province dell’Italia del nord, vedrete che la provincia di Alessandria eccelle per la sua verginità: non ha streghe, diavoli, fate, folletti, maghi, mostri, fantasmi, grotte, labirinti o tesori: si salva con un “edificio bizzarro”, ma ammetterete che è poco». (Umberto Eco, Il miracolo di San Baudolino, in Id., Il secondo diario minimo, p. 329-339: 337)   L’atteggiamento concreto e poco incline ai voli di fantasia degli alessandrini rispecchia quello di San Baudolino, che sa e insegna agli altri che «di miracoli, nella vita reale, non se ne possono fare troppi. E l’uomo saggio è colui che prende coscienza della necessità». Il vero miracolo di Baudolino, nell’episodio narrato da Paolo Diacono, è proprio «convincere un credulo longobardo che i miracoli sono merce assai rara» (ivi, p. 339). Invece di mostrare le cartine che aprono la Guida, come suggeriva Eco, ci sembra più utile mostrare le due pagine - in effetti non molte - che la stessa guida dedica ad Alessandria. Leggendole si nota che anche il secondo miracolo di san Baudolino è piuttosto semplice e dà più l’idea di uno stratagemma concreto e pratico per mettere in fuga le oche. Ma soprattutto ci accorgiamo che alcuni degli episodi qui presentati li ritroviamo nelle pagine di Baudolino, a partire dall’apparizione di San Pietro che Eco spiega in maniera ben più profana e non ha l’effetto di mettere in fuga i soldati del Barbarossa. Risultato ottenuto invece dal trucco che coinvolge la vacca di Gagliaudo, che nel romanzo è il padre di Baudolino e che verrà per questo episodio celebrato come liberatore della città, con l’apposizione del ritratto - suo e della vacca - sulla facciata della Cattedrale.   Guida all'Italia leggendaria, misteriosa, insolita, fantastica. Vol. 1: Nord, Milano, Sugar, 1966. Collocazione: 18* G. V. 67
immagine di Liber monstrorum de diversis generibus
Liber monstrorum de diversis generibus
Nel 1993 esce, tradotto contemporaneamente in cinque lingue dell’Unione Europea, La ricerca della lingua perfetta nella cultura europea, in cui Eco «Si occupa di una delle ossessioni della cultura europea (e non solo): il tentativo di porre rimedio alla confusione babelica delle lingue, battendo strade diverse che andavano dal recupero di lingue storiche mitizzate, all’invenzione di lingue artificiali che potessero esprimere per combinatoria tutti i possibili contenuti» (si veda la sezione Bibliotheca semiologica, curiosa, lunatica, magica et pneumatica curata da Costantino Marmo in L'idea della biblioteca. La collezione di libri antichi di Umberto Eco alla Biblioteca nazionale Braidense, p. 125-133: 125). Baudolino ha la capacità fuori dall’ordinario di imparare a comprendere e parlare ogni lingua anche solo ascoltando poche frasi, tanto che nel primo capitolo del romanzo spiega a Federico, appena incontrato: «ciò il dono de le lengue come li apostoli» (p. 11). Niceta definisce Baudolino «nomoteta» (cap. 3, p. 44), associandolo qundi ad Adamo, che nella tradizione cristiana è il nomoteta per eccellenza (si veda Umberto Eco, La ricerca della lingua perfetta nella cultura europea, p. 14). Ma Baudolino è anche «logoteta [...] inventore di un linguaggio non in senso assoluto ma efficace» quando cerca di scrivere autonomamente le sue memorie creando una lingua basata sulle diverse parlate lombarde, come era stato fatto nel momento della fondazione di Alessandria, che è una «Babele al contrario» in cui tutti trovano il modo di capirsi pur parlando lingue differenti (Giuseppe Pasero, Baudolino Aulari e il Medioevo fantastico di Umberto Eco. Dal tempo incantato della selva della Fraschetta alla struttura (del tempo) assente, in Sulle spalle di Umberto. Testimonianze alessandrine di/su/per Umberto Eco, p. 625-634: 631). È lui quindi che ha il dono di superare le difficoltà comunicative nate dopo la dispersione di quella Lingua Santa di cui i protagonisti del romanzo discutono nel capitolo 11 (p. 133-135). Questa glossolalia o polilalia è «qualcosa che pertiene [...] alla sfera di quelli che la teologia definisce come fenomeni mistici straordinari» (Giuseppe Pasero, Baudolino Aulari e il Medioevo fantastico di Umberto Eco cit., p. 628), ma come ogni eccezione può essere vista in positivo o in negativo. Infatti, dal momento che a lungo parleremo di mostri e portenti, è curioso notare che nel Liber monstrorum de diversis generibus, opera anonima compilata nel secolo VIII, vero e proprio ponte fra la cultura teratologica latina e quella medioevale, compaiono   «QUELLI CHE PARLANO TUTTE LE LINGUE Testimoni riportano di una razza variamente versatile, in un’isola del Mar Rosso. Costoro parlano tutte le lingue del mondo, e perciò lasciano di stucco tutti gli stranieri che càpitano lì venendo da lontano, chiamando per nome i loro conoscenti, nella loro lingua: così li acchiappano e se li mangiano subito, senza neppur cuocerli». (Liber monstrorum de diversis generibus, p. 63-65).   Baudolino non mangia nessuno, ma proprio questa sua portentosa capacità di comprendere le lingue è una delle doti con cui conquista - “acchiappa” - Federico Barbarossa, che lo porta via dalla campagna alessandrina, lo adotta e gli permette la vita avventurosa descritta nel romanzo. Il protagonista del romanzo è dunque lui stesso uno dei tanti, eccezionali esseri prodigiosi che affollano le pagine della narrazione. Il Liber Monstrorum, a lungo dimenticato, torna all’attenzione degli studiosi grazie all’edizione curata e tradotta da Corrado Bologna di cui qui vediamo la copertina, che non a caso esce per l’editore Bompiani con cui Eco collaborava costantemente.    Liber monstrorum de diversis generibus, a cura di C. Bologna, Milano, Bompiani, [1977]. Collocazione: 34. C. 6886
immagine di Niceta Coniate, LXXXVI annorum historia (1557)
Niceta Coniate, LXXXVI annorum historia (1557)
Come in altri romanzi di Umberto Eco, la narrazione principale è costituita da un ampio flashback raccontato da un testimone che ha vissuto quegli eventi. In alcune parti ascoltiamo direttamente la sua voce in discorso diretto, in altre quella di un narratore che lo sostituisce (si veda Alessio Pezzella, Metanarrativa e verità in Baudolino, in Prove di forza del falso. Studi su Umberto Eco, p. 33-64). A differenza di quanto accade in altri testi (Il nome della rosa o Il cimitero di Praga per esempio) in Baudolino il narratore, che è anche il protagonista, non scrive la storia - in realtà lo aveva fatto, come testimonia il primo capitolo del romanzo, ma lo scritto è andato perduto - ma la racconta oralmente a un’altra persona, che è però scelta con cura dall’Autore Modello (ma in maniera casuale dal personaggio). Si tratta infatti di Niceta Coniate, che a Baudolino dice:   «“Racconterai a me quello che ricordi, a me arrivano frammenti di fatti, brandelli di eventi, e io ne traggo una storia, intessuta di un disegno provvidenziale. Tu salvandomi mi hai donato il poco futuro che mi resta, e io ti ripagherò restituendoti il passato che hai perduto”. “Ma forse la mia storia è senza senso”. “Non ci sono storie senza senso. E io sono uno di quegli uomini che sanno trovarlo anche là dove gli altri non lo vedono”» (cap. 2, p. 17).   Niceta infatti è un cronista delle vicende di Costantinopoli e dell’Impero Romano d’Oriente. In particolare, come si vede dal frontespizio di questa edizione cinquecentesca, la sua cronaca copre gli anni 1117-1203, quindi fino all’anno precedente la distruzione della città, durante la quale incontra Baudolino. Da questo volume abbiamo selezionato le pagine in cui si racconta la fallimentare spedizione di Federico I verso Gerusalemme, durante la quale l’imperatore trova la morte. Nel capitolo 23, Baudolino alla terza crociata, Niceta interviene spesso a riempire i vuoti del racconto del protagonista, illustrando il punto di vista degli orientali che vedevano passare l’armata di Federico. In queste pagine lo storico racconta anche la versione reale della morte dell’imperatore, avvenuta per affogamento, mentre il romanzo propone una storia alternativa che, come piace fare ad Eco, gioca con le convenzioni letterarie:   «Amici miei, ci calmava Rabbi Solomon, l’umana follia ha immaginato delitti efferati, ma nessuna mente umana è mai stata così tortuosa da immaginare un delitto in una camera chiusa» (p. 322).   Eco, da bravo scrittore e conoscitore di gialli, ritarda lo scioglimento dell’enigma della morte dell’imperatore fino al capitolo 38.   Niceta Coniate, LXXXVI annorum historia, uidelicet ab anno restitutae salutis circiter 1117., in quo Zonaras desinit, usque ad annum 1203., Basilea, Johann Oporinus, 13 agosto 1557. Collocazione: 5. N*. II. 19    
immagine di William Richard Lethaby & Harold Swainson, The church of Sancta Sophia, Constantinople (1894)
William Richard Lethaby & Harold Swainson, The church of Sancta Sophia, Constantinople (1894)
Baudolino incontra Niceta Coniate, e quindi inizia a raccontare la sua storia, nella chiesa di Santa Sofia, in una Costantinopoli incendiata e saccheggiata. Fra le prede più ambite, oltre alle preziose suppellettili, ci sono le reliquie, tema che attraversa tutto il romanzo. Baudolino ritrova i corpi dei tre Magi, lui e i suoi compagni portano con sé sette diverse teste del Battista, “inventano” e (forse) perdono il Sacro Graal, diventano veri e propri spacciatori di reliquie che oggi noi consideriamo false  ma che nel Medioevo, in cui il concetto del “credere” era profondamente diverso da come lo intendiamo oggi, venivano considerate autentiche anche se di dubbia provenienza (si veda Alessio Pezzella, Metanarrativa e verità in Baudolino, in Prove di forza del falso. Studi su Umberto Eco, p. 33-64: 50). La reliquia è l’oggetto che rappresenta il messaggio del romanzo, cioè la forza del falso come motore di storia vera, reale. Baudolino lo esprime parlando col Diacono Giovanni nel capitolo 31: «La fede fa diventare vere le cose» (cap. 31, p. 409).  In queste pagine vengono elencate le reliquie che impreziosivano Santa Sofia, a partire dal frammento della Vera Croce.   William Richard Lethaby & Harold Swainson, The church of Sancta Sophia, Constantinople. A study of byzantine building, London , New York, Macmillan, 1894. Collocazione: 18. K. VI. 33
immagine di Alfonso Paleotti, Esplicatione del lenzuolo, oue fu inuolto il Signore (1598)
Alfonso Paleotti, Esplicatione del lenzuolo, oue fu inuolto il Signore (1598)
L’ultimo atto della carriera da commercianti di false reliquie di Baudolino e dei suoi compagni è il tentativo, fallito, di spacciare come «Sacro Sudario» di Cristo (cap. 37, p. 483) il lenzuolo che gli accoliti del Diacono Giovanni hanno donato al protagonista e su cui è impressa, grazie a «oli e altre sostanze miracolose» (cap. 30, p. 398), l’impronta del cadavere del Diacono stesso. Come ben sappiamo il sudario di Cristo, col nome di Sacra Sindone, diventerà nei secoli successivi, e lo è ancora oggi, la reliquia più famosa della cristianità. Alla fine del XVI secolo, a Torino, dove ancora oggi è conservata, viene vista da Alfonso Paleotti, arcivescovo di Bologna, che decide di descriverla nell’opera da cui è tratta questa incisione. Lo scopo è quello di farla conoscere ai bolognesi, grazie a una spiegazione molto dettagliata che aumenti la loro devozione verso un oggetto che pochi possono avere l’occasione di vedere. Affinché il testo abbia massima diffusione fra i cittadini, Paleotti decide di scrivere in volgare e non in latino. Nella Epistola che si trova all’inizio del volume, indirizzata «alle sue dilette anime della Città & Diocesi di Bologna», l’arcivescovo elenca anche le reliquie presenti in città.   Alfonso Paleotti, Esplicatione del lenzuolo, oue fu inuolto il Signore, & delle piaghe in esso impresse col suo pretioso sangue confrontate con la Scrittura, Profeti, e Padri. Con la notitia di molte piaghe occulte, & numero de' chiodi. Et con pie meditationi de' dolori della B Verg.ne., Bologna, eredi di Giovanni Rossi, 1598. Collocazione: 1. H. III. 13
immagine di Alfonso Paleotti, Esplicatione del lenzuolo, oue fu inuolto il Signore (1598)
Alfonso Paleotti, Esplicatione del lenzuolo, oue fu inuolto il Signore (1598)
Diversi esemplari dell’opera di Paleotti sono consultabili online, ma in nessuno è ben visibile questa tavola ripiegata, che mostra l’impronta del corpo e le numerose ferite, spiegate dettagliatamente dall’autore.   Alfonso Paleotti, Esplicatione del lenzuolo, oue fu inuolto il Signore, & delle piaghe in esso impresse col suo pretioso sangue confrontate con la Scrittura, Profeti, e Padri. Con la notitia di molte piaghe occulte, & numero de' chiodi. Et con pie meditationi de' dolori della B Verg.ne., Bologna, eredi di Giovanni Rossi, 1598. Collocazione: 1. H. III. 13
immagine di La biblioteca dell'abbazia di San Vittore
La biblioteca dell'abbazia di San Vittore
Fra i molti esempi della capacità di Baudolino di inventare e utilizzare il falso, nelle sue varie forme, sta l’accenno al fatto che mentre studia a Parigi compila un elenco di codici consultati nella ricchissima biblioteca dell’abbazia di San Vittore, molti dei quali ha «bellamente inventato, come dire il De optimitate triparum del Venerabile Beda, un’Ars honeste petandi, un De modo cacandi, un De castramendis crinibus, e un De patria diabolorum» (cap. 8, p. 90). Questi titoli non compaiono in Mirabiblia, il Catalogo ragionato dei libri introvabili pubblicato nel 2003 in cui Paolo Albani e Paolo della Bella elencano molti dei libri inesistenti che si trovano citati nelle opere letterarie. Eco vi è più volte menzionato per i testi inventati che compaiono in Il nome della rosa e altre sue opere, anche saggistiche, ma di Baudolino non si trova traccia. Il motivo è presto spiegato. L’idea di far scrivere al suo personaggio un elenco di opere inventate presenti a San Vittore viene a Eco da quel Catalogue de la Bibliothèque de Saint-Victor che François Rabelais colloca nel capitolo VII del Libro secondo di Gargantua et Pantagruel. I cinque libri inventati da Baudolino sono tutti tratti dall’elenco dei 141 titoli citati da Rabelais, quindi Eco non inventa nuovi testi ma “ricicla” l’invenzione dello scrittore francese. In Mirabiblia l’elenco dei libri citati in Gargantua et Pantagruel, compilato sulla base del Catalogue de la bibliothèque de l'abbaye de Saint-Victor au seizième siècle rédigé par Francois Rabelais di Paul Lacroix (1862), si trova alle p. 355-361. All’interno di questo elenco i cinque testi citati da Eco si trovano nelle seguenti posizioni (indichiamo anche il titolo dato da Rabelais, in alcuni casi leggermente diverso da quello riportato in Baudolino): 12: in Rabelais Ars honeste petandi in societate di M. Ortuinum; 25: De modo cacandi di Tartaretus; 40: De optimitate triparum, scritto da Beda come dice lo stesso Eco; 59: De castrametandis crinibus, lib. tres di Albericum de Rosata; 141: De patria diabolorum di Merlin Cocai.    SUlla presenza di Rabelais in diversi romanzi di Eco si veda Thomas Stauder, Colloqui con Umberto Eco, p. 115.   Paolo Albani e Paolo della Bella, Mirabiblia. Catalogo ragionato di libri introvabili, Bologna, Zanichelli, 2003. Collocazione: CONS. BIBLIOGRAFIA 29-1
immagine di Ottone di Frisinga e Rahewino
Ottone di Frisinga e Rahewino
Baudolino sembra riproporre «i due percorsi di senso» che molti commentatori identificano nella lettera del Prete Gianni, testo motore sia della scrittura del romanzo che della vicenda in esso raccontata: da una parte un «orizzonte politico» fondato sulle vicende della lotta fra l’impero e i comuni italiani - con la presenza inevitabile del Papato - nella seconda metà del XII secolo (su questi eventi si veda Paolo Grillo, Le guerre del Barbarossa in Italia. I comuni contro l’imperatore). Dall’altra i «luoghi dell’immaginario geografico» che hanno essi stessi un valore storico-politico ma presuppongono gli aspetti del meraviglioso e del fantastico presenti in molti testi classici e li inseriscono all’interno del discorso culturale medioevale (Gioia Zaganelli, Introduzione, in La lettera del Prete Gianni, p. 7-44: 15). Pur essendo questi due percorsi strettamente interconnessi, nel romanzo l’aspetto storico-politico è preponderante nei primi 25 capitoli, fino a quando non inizia quello che il titolo del capitolo 26 identifica come il «viaggio dei magi», cioè di Baudolino e dei suoi compagni che fingono di essere i magi che ritornano nelle terre d’oriente. La figura di Ottone vescovo di Frisinga, maestro di Baudolino alla corte di Federico Barbarossa, riunisce in un’unica figura queste due anime del romanzo. È lui infatti che scrive opere storiche fondamentali per la ricostruzione degli eventi di quegli anni - una Chronica e le Gesta Friderici imperatoris - nelle quali per la prima volta parla di una leggendaria figura di prete-sovrano cattolico che governa un vasto regno posto nelle Indie. Nel romanzo Baudolino cancella una prima versione della Chronica di Ottone, costringendolo a riscriverla, e raccoglie dal vescovo il suggerimento a partire alla ricerca del regno del Prete Gianni - o Giovanni, come sempre scrive Eco nel romanzo - per dare lustro alla corte di Federico. Nel volume di cui vediamo qui il frontespizio, come mostra l’indice, sono riunite le due opere di Ottone, la prima delle quali viene continuata da Rahewino, anch’egli personaggio del romanzo di Eco.   Ottonis episcopi Frisigensis Leopoldi Pii marchionis Austriae F. Chronicon, siue rerum ab orbe condito ad sua vsque tempora gestarum, libri octo. Eiusdem de gestis Friderici 1. Caes. Aug. libri duo. Radeuici Frising. canonici de eiusdem Frid. gestis libri 2. priorib. additi. Guntheri poëtae Ligurinus, siue de gestis Friderici, libri 10. Addita sunt & alia, cùm ad Friderici, tum ad posteriorum Imperatorum historiam pertinentia, quorum catalogum proxima pagina notauimus, Basilea, Pietro Perna, 1569. Collocazione: 5. B. I. 6
immagine di Bernardino Corio, L'historia di Milano (1554)
Bernardino Corio, L'historia di Milano (1554)
«[Federico] Aveva fatto prendere dei prigionieri di guerra cremaschi e milanesi, e li aveva fatti legare davanti e sui fianchi della torre. Pensava che, se gli assediati avessero visto davanti a loro fratelli, cugini, figli e padri, non avrebbero osato tirare. Non calcolava quanto grande fosse anche il furore dei cremaschi - di quelli sopra le mura e di quelli legati fuori le mura. Furono questi ultimi a gridare ai loro fratelli di non preoccuparsi per loro, e quelli sulle mura, con i denti stretti, le lagrime agli occhi, carnefici dei loro stessi parenti, continuarono a bersagliare la torre uccidendo nove dei loro» (cap. 8, p. 92).   Quello appena raccontato - e che nella pagina in questa immagine ritroviamo nella ricostruzione storica di Bernardino Corio - è uno dei tanti episodi di gratuita violenza che Baudolino, che più volte ripete di non essere uomo di guerra, rimprovera a Federico al ritorno da Parigi.   Bernardino Corio, L'historia di Milano volgarmente scritta dall'eccellentissimo oratore M. Bernardino Corio ... Con le vite insieme di tutti gli Imperatori, incominciando da Giulio Cesare, fino à Federico Barbarossa, Venezia, Giovanni Maria Bonelli, 1554. Collocazione: RABBI C. 53
immagine di Bernardino Corio, L'historia di Milano (1554)
Bernardino Corio, L'historia di Milano (1554)
Questa Historia di Milano cinquecentesca, opera di Bernardino Corio, offre un’ampia trattazione dei numerosi contrasti fra la città lombarda - anzi, le città lombarde - e il Barbarossa. Ne estraiamo alcune pagine per richiamare episodi che Baudolino narra a Niceta. L’arrivo a Crema di Beatrice di Borgogna, moglie di Federico, ci ricorda l’impossibile amore che Baudolino prova per lei e che si sublima in un bacio proibito e mai più ripetuto:   «Baudolino aveva messo le mani dietro la schiena, per proibirsi un abbraccio, ma ormai le loro labbra si erano toccate, e dopo essersi toccate si erano aperte di poco, così che per un attimo, solo un attimo dei pochissimi che durò quel bacio, attraverso le labbra socchiuse si sfiorarono anche le lingue» (p. 111).   Bernardino Corio, L'historia di Milano volgarmente scritta dall'eccellentissimo oratore M. Bernardino Corio ... Con le vite insieme di tutti gli Imperatori, incominciando da Giulio Cesare, fino à Federico Barbarossa, Venezia, Giovanni Maria Bonelli, 1554. Collocazione: RABBI C. 53
immagine di Bernardino Corio, L'historia di Milano (1554)
Bernardino Corio, L'historia di Milano (1554)
Anche l’assedio e la conseguente distruzione di Milano, di cui si racconta nel nono e nel decimo capitolo del romanzo, sono uno dei motivi per cui Baudolino accusa Federico di esagerata e inutile violenza. Nella città lombarda, all’interno della chiesa di Sant’Eustorgio, vengono anche “ritrovati” i corpi dei tre Re Magi, poi inviati a Colonia. Comincia in questo modo la carriera di Baudolino come creatore di false reliquie. Sul conflitto fra Milano e Federico e la conseguente distruzione della città di Milano, si veda Paolo Grillo, Le guerre del Barbarossa. I comuni contro l'imperatore.   Bernardino Corio, L'historia di Milano volgarmente scritta dall'eccellentissimo oratore M. Bernardino Corio ... Con le vite insieme di tutti gli Imperatori, incominciando da Giulio Cesare, fino à Federico Barbarossa, Venezia, Giovanni Maria Bonelli, 1554. Collocazione: RABBI C. 53
immagine di Gesta Federici I imperatoris in Lombardia
Gesta Federici I imperatoris in Lombardia
Questa opera ottocentesca sui conflitti fra il Barbarossa e le città lombarde ci fornisce l’occasione per tornare a parlare di Alessandria, alle cui vicende - la fondazione del 1168, la lotta con l’imperatore del 1175-76 e la rifondazione formale da parte di Federico nel 1183 - il romanzo dedica in particolare i capitoli 13 (Baudolino vede nascere una nuova città), 14 (Baudolino salva Alessandria con la vacca di suo padre) e 19 (Baudolino cambia nome alla sua città). Basta leggere questi titoli per capire che il protagonista del romanzo è anche protagonista dei primi anni di storia della città che sorge nei territori in cui è nato e in cui torna dopo 13 anni, ritrovando i genitori e alcuni vecchi amici. Ad Alessandria Baudolino sposa anche la giovane Colandrina, che muore a causa di una gravidanza insieme al bambino appena venuto alla luce. La vista del feto morto anticipa le creature mostruose che il lettore incontrerà nella seconda parte del romanzo. Così lo descrive Baudolino a Niceta:   «“Era un mostriciattolo [...] come quelli che noi immaginavamo nella terra del Prete Giovanni. Il viso dagli occhi piccoli, come due fessure di traverso, un petto magro magro con due braccine che sembravano tentacoli di polpo. E dal ventre ai piedi era coperto di una peluria bianca, come fosse una pecora» (cap. 18, p. 238).   Gesta Federici I imperatoris in Lombardia, recognovit Oswaldus Holder-Egger, Hannover, impensis Bibliopolii Hahniani, 1892. Collocazione: CONS. SC. STORICHE, 57-50/27
immagine di Gesta di Federico I in Italia (1887)
Gesta di Federico I in Italia (1887)
Le imprese di Federico in Italia generano anche opere letterarie, come i versi di un anonimo contemporaneo ai fatti, pubblicati in un volume edito nel 1887 per la cura di Ernesto Monaci e da cui estraiamo questa bella mappa intitolata Topografia della città di Milano assediata dall’imperatore Federigo Primo nell’anno MCLVIII. Un esemplare dell’opera, che oltre alla mappa che qui vediamo contiene altre sei tavole illustrate, è integralmente consultabile online, digitalizzato dalla University of Virginia.   Gesta di Federico I in Italia. Descritte in versi latini da anonimo contemporaneo, ora pubblicate secondo un ms. della Vaticana, a cura di Ernesto Monaci, Roma nella sede dell'Istituto [Storico Italiano], Forzani e C. tipografi del Senato, 1887. Collocazione: BIANCHI D. 34 
immagine di La Cacciata di Federico Barbarossa da Alessandria (sec. XIX)
La Cacciata di Federico Barbarossa da Alessandria (sec. XIX)
Questa incisione ottocentesca riproduce uno degli episodi dell’assedio di Alessandria del 1175-76, che ha un esito infausto per il Barbarossa. Solo nel 1183 si arriva a una pace e alla rifondazione della città - col nuovo, temporaneo, nome di Cesarea - da parte dell’imperatore. Nel già citato articolo di Ferdinand Opll Federico Barbossa come fondatore delle città italiane Lodi, Alessandria/Caesarea, Crema (in Lodi tra il Barbarossa e la Lega Lombarda. Atti del Convegno, Lodi 8-15-22 novembre 2008, p. 83-136) la particolare vicenda della doppia fondazione della città - quella reale voluta dalle città della Lega Lombarda e quella formale concordata dagli alessandrini con Federico - è raccontata con molti dettagli. Nel 1183 ad Alessandria «fu ribadito il principio che la fondazione di una città non necessitava solo di una sanzione imperiale, ma che concretamente doveva implicare la partecipazione diretta dell’Imperatore - in questo caso di un suo rappresentante» (ivi, p. 127). Nel romanzo quel rappresentante di Federico è proprio Baudolino, che quindi è fondatore della città in cui è nato - ancora prima che essa esistesse - e che ha contibuito a salvare otto anni prima con lo stratagemma della vacca del padre Gagliaudo. Sulle vicende del Barbarossa in lotta con le città del Nord Italia, e con Alessandria in particolare, segnaliamo anche un testo non storico ma narrativo, il romanzo di Dario Fo pubblicato nel 2017 Il Barbarossa e la beffa di Alessandria.   La Cacciata di Federico Barbarossa da Alessandria. Ricavata dal gran quadro esistente nella galleria di S.M. il Re Vittorio Emanuele II, disegno di Carlo Arienti, incisore Francesco Semino, Genova, Litografia Armanino, sec. XIX. Collocazione: GDS, Cart. L n. 062
immagine di Giosue Carducci, Su i campi di Marengo
Giosue Carducci, Su i campi di Marengo
Nell’articolo Presenze carducciane nel “Baudolino” di Umberto Eco («Levia gravia», IV, 2004, p. 67-80) Marco Sterpos identifica alcuni echi di poesie di Carducci in diversi episodi del romanzo. Si tratta in alcuni casi, di vere e proprie riprese di versi che «potrebbero essersi affacciati alla mente ed alla fantasia del romanziere anche spontaneamente, non ricercati, magari per l’affiorare di memorie giovanili» (ivi, p. 79). La poesia più chiaramente riconoscibile è Su i campi di Marengo, che qui si può leggere tratta dalla prima edizione di Rime nuove del 1887.   Giosue Carducci, Rime nuove, Bologna, Zanichelli, 1887. Collocazione: BOERIS A. 363
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La seconda dieta di Roncaglia del 1158
Uno dei tanti eventi storici a cui Baudolino assiste è la seconda dieta di Roncaglia del 1158. In quell’occasione «Federico aveva promulgato la Constitutio Habita, con cui si riconosceva l’autonomia dello studio bolognese» (cap. 5, p. 66). In questa immagine vediamo la riproduzione di una carta di un manoscritto parigino in cui si trova copia delle leggi stabilite a Roncaglia, fra cui appunto la Constitutio Habita.   Vittore Colorni, Le tre leggi perdute di Roncaglia (1158) ritrovate in un manoscritto parigino (Bibl. Nat. Cod. Lat. 4677), Milano, Giuffrè, 1967. Collocazione: ZANARDI F. 77
immagine di Sante Manelli, Quator Bononiae Magistri in Roncalliarum conuentu coram Friederico I de Regalibus iudicant (1° metà sec. XVIII)
Sante Manelli, Quator Bononiae Magistri in Roncalliarum conuentu coram Friederico I de Regalibus iudicant (1° metà sec. XVIII)
L’autonomia dello studio bolognese viene conquistata a Roncaglia grazie alla presenza di quattro dottori dello Studium, che a loro volta devono concedere qualcosa all’imperatore Federico:   «Breve (diceva Baudolino per non tediare Niceta con i capolavori dell’oratoria imperiale, giurisprudenziale ed ecclesiastica), quattro dottori di Bologna, i più famosi, allievi del grande Irnerio, erano stati invitati dall’imperatore a esprimere un insindacabile parere dottrinale sui suoi poteri, e tre di loro, Bulgaro, Jacopo e Ugo di Porta Ravegnana, si erano espressi così come Federico voleva, e cioè che il diritto dell’imperatore si basava sulla legge romana. Di parere diverso era solo Martino» (cap. 5, p. 65).   Sul rapporto fra i quattro dottori e Federico si veda Kenneth Pennington, Bulgarus, Martinus, Azo and Lotharius. The School of Bologna and the Emperor.  Questa incisione della prima metà del secolo XVIII, realizzata da Sante Manelli su disegno di Domenico Maria Fratta, rappresenta l’incontro del 1158 fra l’imperatore e i quattro dottori.   Quator Bononiae Magistri in Roncalliarum conuentu coram Friederico I de Regalibus iudicant, invenzione e disegno di Domenico Fratta, incisione di Sante Manelli, Bologna, s.n., 1740. Collocazione: GDS, Goz.2 004/5
immagine di La cappella di Santa Maria dei Bulgari nel Palazzo dell'Archiginnasio
La cappella di Santa Maria dei Bulgari nel Palazzo dell'Archiginnasio
Bulgaro è un personaggio molto importante per la Biblioteca dell’Archiginnasio. Al piano terra infatti, «Al centro, nel lato orientale del cortile, davanti al portone d’ingresso, si trova la Cappella di S. Maria dei Bulgari, il cui nome ricorda quello di una chiesa che sorgeva “in curia Bulgari”, cioè presso le case del celebre giurista Bulgaro (XII secolo). Era la cappella dello Studio, voluta da Pier Donato Cesi». La citazione è tratta dalla sezione dedicata a questa cappella nella mostra in rete Palazzo dell’Archiginnasio. Augustissima Musarum Domicilia. Bulgaro quindi abitava e insegnava nella zona su cui poi sorse il Palazzo. Gli splendidi affreschi di Bartolomeo Cesi e la pala d’altare di Denis Calvaert che decoravano la cappella sono stati quasi interamente distrutti dal bombardamento che il 29 gennaio 1944 ridusse in macerie il lato orientale dell’edificio. Per maggiori informazioni su questi tragici avvenimenti si veda Bologna bombardata 1943-1945. Questo acquerello permette di immaginare la magnificenza della Cappella di S. Maria dei Bulgari prima della sua distruzione. Su Bulgaro si veda il capitolo a lui dedicato, dal titolo Bulgaro (1085/90-1166), in Nazario Galassi, Figure e vicende di una città. Vol. 1: Imola dall’età antica al tardo medioevo (p. 295-359).   Contardo Tomaselli, Calisto Zanotti Cavazzoni, La cappella di Santa Maria dei Bulgari nel Palazzo dell’Archiginnasio, disegno a penna con inchiostro grigio e acquerello policromo su carta bruna, 1849. Collocazione: GDS, Disegni di autori vari, Cart. 12, n. 109
immagine di Igino Benvenuto Supino, La chiesa di Santa Maria dei Bulgari (1926)
Igino Benvenuto Supino, La chiesa di Santa Maria dei Bulgari (1926)
Alcune fotografie relative alla Cappella di S. Maria dei Bulgari si trovano nella biblioteca digitale Arbor. Qui vediamo due pagine di un breve opuscolo in cui, nel 1926, Igino Benvenuto Supino illustra gli affreschi. Il testo è integralmente consultabile online.   Igino Benvenuto Supino, La chiesa di Santa Maria dei Bulgari, Bologna, Mareggiani, 1926. Collocazione: 17-ECCL.BOLOGN. H 19, 014
immagine di Il Prete Gianni
Il Prete Gianni
Raggiungere il regno del Prete Giovanni - o Gianni, come più tradizionalmente conosciuto - è il sogno, anzi l’ossessione, della vita di Baudolino fin da quando ne sente parlare per la prima volta dal vescovo Ottone. Nel già citato articolo Come scrivo (in Umberto Eco, Sulla letteratura, p. 342-379) Eco dice che l’idea seminale di raccontare la storia di «un gruppo di personaggi che costruivano dei falsi» era giunta a maturazione quando gli era «venuto in mente quale fosse uno dei falsi più gustosi di tutta la storia occidentale, e cioè la lettera di Prete Gianni» (ivi, p. 361). Il leggendario sovrano cristiano che domina un grande regno nelle Indie è quindi il vero e proprio motore del romanzo, sia sul piano della scrittura che di quello dello sviluppo della narrazione, tanto che il romanzo si conclude proprio con Baudolino che, ormai anziano, parte di nuovo alla sua ricerca. Continua quindi a illudersi sulla sua esistenza, nonostante sia stato lui stesso, nella finzione narrativa, a costruire il falso che ha alimentato per secoli la leggenda del prete, cioè la lettera di cui sono state composte numerose versioni e che si è adattata alle diverse situazioni politiche e sociali fino al XV secolo. Eco dice di averne lette diverse versioni e cita l’edizione curata da Gioia Zaganelli che ne contiene tre in tre lingue diverse. All’introduzione di questo volume, scritta dalla curatrice, rimandiamo per una ricostruzione della vicenda, sia storica che immaginativa, di questo testo e della figura che ne è l’autore dichiarato - ma chiaramente non reale - e il protagonista (il Prete Gianni è definito «autore-attore» della lettera da Marziano Guglielminetti nell’articolo La lettera del Prete Gianni a papa Martino V (1426). Testo e commento, in Studi politici in onore di Luigi Firpo. Vol. 1: Ricerche sui secoli XIV-XVI, p. 87-108: 95). L’Introduzione di Gioia Zaganelli (p. 7-44) offre anche a Eco due spunti che ritroveremo nel romanzo: l’ipotesi che la lettera sia uscita dalla corte di Federico I (p. 14) e quella che la versione in anglo-normanno sia stata realizzata grazie all’intraprendenza di Gillebert li Bouteliers, servo del nobile inglese Willam de Ver e viaggiatore in oriente. Nell’impossibilità di essere esaustivi nel censire la grande quantità di documentazione prodotta nell’arco di quattro secoli relativamente al Prete e alla sua lettera, ci limiteremo nelle prossime immagini a proporre documenti e fonti di cui si possono trovare maggiori riscontri nel romanzo di Eco. Di questo ritratto non conosciamo né l’autore, né la data e le circostanze della composizione. Per Baudolino sarebbe stato un ottimo oggetto su cui inventare una storia (e farla miracolosamente diventare vera).   Prete Gianni Collocazione: GDS, Raccolta di ritratti, Cartella I, n. 4  
immagine di Giovanni da Pian del Carpine, Viaggio a' Tartari (1929)
Giovanni da Pian del Carpine, Viaggio a' Tartari (1929)
Eco racconta che l’idea di basare Baudolino sul gustoso falso della lettera del Prete Gianni aveva «fatto “quagliare” una serie di ricordi ed esperienze di lettura» (Come scrivo, in Umberto Eco, Sulla letteratura, p. 342-379: 361). Come già accaduto in diverse occasioni segnalate nelle galleries dedicate ad altri suoi testi, il lavoro editoriale compiuto per Bompiani gli aveva offerto una di queste letture, Lands Beyond di Lyon Sprague De Camp e Willy Ley, di cui aveva curato l’edizione italiana (uscita col titolo Le terre leggendarie nel 1962, non nel 1960 come scritto da Eco nell’articolo). In quel volume non solo un capitolo era dedicato a La terra del Prete Gianni (p. 117-128), ma comparivano anche i viaggi di Sindbad (capitolo Il mare di Sindbad, p. 89-115) - che in Baudolino sono citati come una delle storie che ispirano il protagonista e i suoi amici nella scrittura della falsa lettera - e le 10 tribù disperse di Israele (capitolo Le Tribù disperse, p. 129-144) che sono il motivo per cui Rabbi Solomon decide di seguire il gruppo dei viaggiatori verso l’Oriente. In Le terre leggendarie si dice che «Il primo tra i viaggiatori che riportarono notizie del Prete Gianni, fu Giovanni dal Pian de’ Carpini» (p. 121), che non vide il regno leggendario ma ne ebbe notizia durante il suo Viaggio a’ Tartari. Vediamo qui la copertina di una edizione di quest’opera del 1929, arricchita da mappe e incisioni.   Giovanni da Pian del Carpine, Viaggio a' Tartari di frate Giovanni da Pian del Carpine (Historia mongalorum), a cura di Giorgio Pullè, Milano, Alpes, 1929. Collocazione: 4. L*. III. 33
immagine di Giovanni da Pian del Carpine, Viaggio ai Tartari (1956)
Giovanni da Pian del Carpine, Viaggio ai Tartari (1956)
Itinerario di fra Giovanni da Pian del Carpine.   Giovanni da Pian del Carpine, Viaggio ai Tartari, a cura di Giorgio Pullè, Milano, Istituto editoriale italiano, 1956. Collocazione: 3. E. VI. 37
immagine di Giovanni de Mandevilla, Trattato delle più meravigliose cose (1488)
Giovanni de Mandevilla, Trattato delle più meravigliose cose (1488)
Ancora Le terre leggendarie offre a Eco uno spunto gustoso per il personaggio di Baudolino, quando racconta la vicenda di un «bugiardo patentato, il “cavaliere inglese” Sir John der Mandeville» (p. 123), che si rivelerà essere invece il medico francese Jean de Bourgogne. Il suo resoconto, databile alla metà del XIV secolo, è diverso dai molti altri precedenti in quanto è il primo ad asserire - naturalmente mentendo - di avere visto le meraviglie del regno del Prete Gianni, non di averne sentito semplicemente parlare da altre popolazioni orientali. Come si vede in questa pagina del suo resoconto tratta da un incunabolo del 1488, anche lui, come Eco in Baudolino, pone alcuni animali fantastici ai confini del regno del Prete, che descrive poi in alcune pagine che sono al tempo stesso una summa di quanto già detto e un modello per chi verrà dopo di lui a descrivere le meraviglie di quelle terre lontane. Per una più agevole lettura proponiamo le pagine dedicate al Prete Gianni in una traduzione italiana del 1870.   John Mandeville, Tractato de le piu maravegliose cose e piu notabile che si trovino in le parte del mondo, Bologna, Ruggeri, 1488. Collocazione: 16. Q. III. 60
immagine di Hartmann Schedel, Liber chronicarum (1493)
Hartmann Schedel, Liber chronicarum (1493)
Del Prete Gianni riferisce anche una delle cronache quattrocentesche più conosciute, di cui abbiamo già avuto modo di parlare sia nella  gallery dedicata a Il nome della rosa che in quella su Il cimitero di Praga. È il Liber Chronicarum di Hartmann Schedel, di cui vediamo qui la pagina in cui viene citato il leggendario sacerdote-sovrano. La vignetta che accompagna il testo, diversamente da quanto riportato in diversi commenti, non rappresenta il Prete Gianni, ma san Tommaso, tradizionalmente considerato l’evangelizzatore delle terre orientali più lontane. Schedel dice infatti che durante la leggendaria - e naturalmente mai realmente verificatasi - visita alla corte papale del 1120 (altre fonti riportano il 1122) lo stesso Prete Gianni riferì a papa Callisto II che san Tommaso aveva ogni anno celebrato il Sacramento della Comunione, conferendola ai degni e negandola a chi non la meritava. La vignetta lascia spazio alla discussione se in questo specifico caso la stia per conferire a un meritevole o la stia negando a un indegno. Guglielminetti ricorda che in alcune versioni della lettera si dice che le truppe del Prete Gianni, baluardo della cristianità e «capaci con la loro forza d’impedire ai nemici di “distruggere tutto il mondo”», erano «mantenute nel servizio descritto grazie all’aiuto divino, intercessore “Santo Tomaso”, l’apostolo delle Indie, venerato nelle comunità nestorite del Malabar, da cui, per tradizione da tutti accettata, il Prete Gianni traeva legittimità ed autorità» (Marziano Guglielminetti, La lettera del Prete Gianni a papa Martino V (1426). Testo e commento, in Studi politici in onore di Luigi Firpo. Vol. 1: Ricerche sui secoli XIV-XVI, p. 87-108: 103). Per una traduzione in inglese commentata del Liber Chronicarum si veda la versione digitale realizzata dalla Morse Library del Beloit College della University of Winsconsin. Il testo che abbiamo appena discusso si trova alle p. 546-547.   Hartmann Schedel, Liber chronicarum, Norimberga, Anton Koberger, Sebald Schreyer & Sebastian Kammermeister, 12 luglio 1493.Collocazione: 16.E.I.1
immagine di Renato Lefevre, La leggenda medievale del prete Gianni e l'Etiopia (1935)
Renato Lefevre, La leggenda medievale del prete Gianni e l'Etiopia (1935)
Nell’interessante opuscolo di Lefevre vengono proposte diverse rappresentazioni del Prete Gianni estratte da opere medioevali, fra cui quella che vediamo, che come dice la didascalia è tratta da un manoscritto contenente un poemetto. Il titolo di questo opuscolo dà conto del “trasloco” del Prete Gianni dal favoloso Oriente, rappresentato dalle tre Indie citate in diverse versioni della lettera, ai territori africani. Quando le terre dell’est saranno troppo conosciute per potervi collocare un territorio dominato dal fantastico e dal meraviglioso, dagli spazi asiatici «il regno di Prete Gianni si sposta in quelli africani, etiopi più in particolare» (Gioia Zaganelli, Introduzione, in La lettera del Prete Gianni, p. 7-44: 30), che sono ancora tutti da esplorare e saranno lo spazio geografico e immaginativo su cui si concentreranno le spedizioni esplorative quattrocentesche, in particolare quelle portoghesi.   Renato Lefevre, La leggenda medievale del prete Gianni e l'Etiopia, Napoli, tip. Fratelli Ciolfi, 1935. Collocazione: BORSI E. 1900
immagine di Lodovico Ariosto, Orlando Furioso (1881)
Lodovico Ariosto, Orlando Furioso (1881)
Ritroviamo il Prete Gianni in Etiopia nell’Orlando furioso. Ariosto riporta anche il nome con cui il sovrano è chiamato dai suoi sudditi:   «Senapo detto è dai sudditi suoi; gli diciàn Presto o Preteianni noi». (Lodovico Ariosto, Orlando furioso, canto XXX, stanza 106, v. 7-8)   In questa illustrazione di Gustave Doré tratta da un’edizione ottocentesca del poema vediamo lo splendido e ricchissimo palazzo del sovrano, descritto nella stanza 104.   Lodovico Ariosto, Orlando furioso, illustrato da Gustavo Doré, con prefazione di Giosuè Carducci, Milano, Fratelli Treves, 1881. Collocazione: 16. b. I. 8
immagine di Lodovico Ariosto, Orlando Furioso (1881)
Lodovico Ariosto, Orlando Furioso (1881)
L’opera di Ariosto è ormai pienamente conscia dell’irrealtà del regno del Prete Gianni, nonostante le esplorazioni dei viaggiatori non abbiano ancora perso la speranza di trovarlo, a testimonianza di quanto sia complessa la vicenda, che si muove fra eventi storici e immaginario, testi letterari e relazioni di viaggio:   «Gianni prende corpo dapprima in alcune epistole, trasmigra poi nella realtà e orienta lo sguardo di chi in essa si muove, rientra quindi in testi che sono resoconti di un mondo osservato, passa da una cronaca a una relazione di viaggio, alla narrazione di un viaggio fantastico. Non solo. Mentre ancora si va alla ricerca del regno di Gianni nel continente africano, l’Ariosto ne sgretola la sacralità facendone un regno di condannati alla fame lordato dalle arpie». (Gioia Zaganelli, Introduzione, in La lettera del Prete Gianni, p. 7-44: 32).   Questa illustrazione di Doré, relativa alla stanza 106 del canto XXXIII, mostra Senapo-Gianni che - punito da Dio per la superbia che lo aveva spinto a cercare di conquistare il Paradiso Terrestre - viene tormentato dalle arpie che impediscono agli abitanti del regno di mangiare, guastando ogni banchetto. È Astolfo, giunto in Africa in sella all’ippogrifo, a salvare Senapo e i suoi sudditi mettendo in fuga i mostri alati.   Lodovico Ariosto, Orlando furioso, illustrato da Gustavo Doré, con prefazione di Giosuè Carducci, Milano, Fratelli Treves, 1881. Collocazione: 16. b. I. 8
immagine di La forma della terra
La forma della terra
Avendo a lungo parlato di esplorazioni geografiche, viaggi reali e immaginari, sinceri e bugiardi, corre l’obbligo di mostrare alcune delle mappe che ispiravano queste avventure o che venivano realizzate in conseguenza di esse. Le uniche tre illustrazioni presenti nel romanzo di Eco sono proprio mappe. Quella che qui vediamo nel sesto capitolo (p. 81) illustra le discussioni sorte fra Baudolino, il Poeta e Abdul circa la forma della terra, sulla quale ognuno dei tre ha idee differenti. Una controversia nata all’osteria durante gli anni dello studio parigino, approfondita da ricerche nella biblioteca di San Vittore e che «tanti anni dopo li avrebbe portati agli estremi confini del mondo» (p. 82).   Umberto Eco, Baudolino, Milano, Bompiani, 2000. Collocazione: CAGLI F. 55
immagine di La mappa di Cosma disegnata da Zosimo
La mappa di Cosma disegnata da Zosimo
La mappa più importante all’interno del romanzo è senza dubbio quella di Cosma Indicopleuste, vero e proprio specchietto per le allodole con cui il monaco Zosimo inganna più volte Baudolino e i suoi compari, promettendola, nascondendola, facendola immaginare senza mai svelarla. Per non essere ucciso, quando nel capitolo 21 viene ritrovato a Costantinopoli, Zosimo disegna con uno stilo questa immagine, che rappresenta la Terra a forma di tabernacolo come la immagina Cosma.   «Esso mostrava la forma dell’universo, esattamente come un tempio, con la sua volta ricurva, la cui parte superiore rimane celata ai nostri occhi dal velo del firmamento. Sotto si stende l’ecumene, ovvero la terra su cui abitiamo, che però non è piatta ma poggia sull’oceano, che la circonda, e monta per un declivio impercettibile e continuo verso l’estremo settentrione e verso occidente, dove si erge una montagna talmente alta che la sua presenza sfugge al nostro occhio e la sua cima si confonde con le nubi. Il sole e la luna, mossi dagli angeli - a cui si debbono anche le piogge, i terremoti e tutti gli altri fenomeni atmosferici - passano al mattino da oriente verso il meridione, davanti alla montagna e illuminano il mondo, e alla sera risalgono a occidente e scompaiono dietro la montagna, dandoci l’impressione di tramontare. Così, mentre da noi cala la notte, dall’altra parte della montagna è giorno, ma questo giorno nessuno lo vede, perché il monte dall’altra parte è deserto, e nessuno vi è mai stato» (cap. 21, p. 263).   Eco torna a parlare di Cosma Indicopleuste in uno dei testi pubblicati nella raccolta del 2011 Costruire il nemico e altri scritti occasionali, che si intitola Astronomie immaginarie (p. 217-251) e rielabora due interventi tenuti nel 2001 e nel 2002. In queste pagine saggistiche non solo ritroviamo questo disegno e quello dell’immagine successiva, ma anche le parole che li accompagnano riprendono quasi letteralmente quelle del romanzo appena citate.   Umberto Eco, Baudolino, Milano, Bompiani, 2000. Collocazione: CAGLI F. 55
immagine di La mappa di Cosma posseduta da Ardzrouni
La mappa di Cosma posseduta da Ardzrouni
Nel capitolo 26 di Baudolino, Ardzrouni afferma di possedere la mappa di Cosma e mostra una pergamena sulla quale si trova questo disegno (p. 334). Anche in questo caso le parole con cui viene descritto dallo stesso Ardzrouni vengono riprese quasi letteralmente da Eco in Astronomie immaginarie. Citiamo questa volta dall’intervento saggistico:   «Cosma ci mostra anche la Terra come se la guardassimo dall’alto. C’è la cornice dell’oceano, al di là del quale vi sono terre dove Noè abitava prima del diluvio. Verso l’oriente estremo di queste terre, separate dall’Oceano da regioni abitate da esseri mostruosi, c’è il Paradiso Terrestre. Dal Paradiso si generano l’Eufrate, il Tigri e il Gange, che passano sotto l’Oceano e si gettano poi nel golfo Persico, mentre il Nilo fa un percorso più tortuoso per le terre antidiluviane, entra nell’Oceano, riprende il suo cammino nelle basse regioni settentrionali, e più precisamente in terra d’Egitto, e si getta nel golfo Romaico, e cioè nell’Ellesponto». (Umberto Eco, Astronomie immaginarie, in Id., Costruire il nemico e altri scritti occasionali, p. 217-251: 224-225)   La mappa di Cosma è importante perché venne utilizzata dall’Ottocento positivista per sostenere la tesi che tutto il Medioevo cristiano credeva che la Terra fosse piatta. In realtà il testo di Cosma, la Topographia Christiana, era stato dimenticato per secoli e «fu reso noto al mondo occidentale solo nel 1706 e pubblicato in inglese nel 1897. Nessun autore medioevale lo conosceva» (ivi, p. 225).   Umberto Eco, Baudolino, Milano, Bompiani, 2000. Collocazione: CAGLI F. 55
immagine di Cosma Indicopleuste, Topographia Christiana (1860)
Cosma Indicopleuste, Topographia Christiana (1860)
Vediamo qui e nelle immagini successive alcune tavole tratte da un’edizione ottocentesca della Topographia Christiana. Riconosciamo in questa pagina l’alta montagna di cui abbiamo letto in precedenza e che, come accennato nel romanzo (cap. 16, p. 222), permette di spiegare anche fenomeni come le eclissi o il sorgere e il tramontare del sole, altrimenti incomprensibili se la Terra non fosse sferica.   Tou en hagiois patros hēmōn Iōannou Scholastikou, tou Hēgoumenou tou Hagiou Orous Sina, hapanta. Accedunt Cosmæ Indicopleustæ, necnon Constantini diaconi Cp., Agathiæ Myrinæi, s. Dorothei Archimandritæ, Gregorii Antiocheni episcopi, Joannis Jejunatoris, patriarchæ Cp. scripta quæ exstant. Tomus unicus, interprete Matthæo Radero, accurante et denuo recognoscente J.-P. Migne, Parigi, Migne, 1860. Collocazione: CONS. SC. RELIGIOSE 7-1
immagine di Cosma Indicopleuste, Topographia Christiana (1860)
Cosma Indicopleuste, Topographia Christiana (1860)
Cliccare qui per vedere l’immagine a una migliore risoluzione.   Tou en hagiois patros hēmōn Iōannou Scholastikou, tou Hēgoumenou tou Hagiou Orous Sina, hapanta. Accedunt Cosmæ Indicopleustæ, necnon Constantini diaconi Cp., Agathiæ Myrinæi, s. Dorothei Archimandritæ, Gregorii Antiocheni episcopi, Joannis Jejunatoris, patriarchæ Cp. scripta quæ exstant. Tomus unicus, interprete Matthæo Radero, accurante et denuo recognoscente J.-P. Migne, Parigi, Migne, 1860. Collocazione: CONS. SC. RELIGIOSE 7-1
immagine di Cosma Indicopleuste, Topographia Christiana (1860)
Cosma Indicopleuste, Topographia Christiana (1860)
Cliccare qui per vedere l’immagine a una migliore risoluzione.   Tou en hagiois patros hēmōn Iōannou Scholastikou, tou Hēgoumenou tou Hagiou Orous Sina, hapanta. Accedunt Cosmæ Indicopleustæ, necnon Constantini diaconi Cp., Agathiæ Myrinæi, s. Dorothei Archimandritæ, Gregorii Antiocheni episcopi, Joannis Jejunatoris, patriarchæ Cp. scripta quæ exstant. Tomus unicus, interprete Matthæo Radero, accurante et denuo recognoscente J.-P. Migne, Parigi, Migne, 1860. Collocazione: CONS. SC. RELIGIOSE 7-1
immagine di Cosma Indicopleuste, Topographia Christiana (1860)
Cosma Indicopleuste, Topographia Christiana (1860)
Per una migliore comprensione delle tavole presentate proponiamo alcune pagine tratte dalla Topographia Christiana, che le descrivono dettagliatamente. Sono precedute dalla descrizione di alcuni animali, che vediamo anche rappresentati in questa immagine, alcuni dei quali ritroveremo più avanti perché la fauna più o meno fantastica delle terre d’oriente è una presenza costante nella seconda parte di Baudolino.   Tou en hagiois patros hēmōn Iōannou Scholastikou, tou Hēgoumenou tou Hagiou Orous Sina, hapanta. Accedunt Cosmæ Indicopleustæ, necnon Constantini diaconi Cp., Agathiæ Myrinæi, s. Dorothei Archimandritæ, Gregorii Antiocheni episcopi, Joannis Jejunatoris, patriarchæ Cp. scripta quæ exstant. Tomus unicus, interprete Matthæo Radero, accurante et denuo recognoscente J.-P. Migne, Parigi, Migne, 1860. Collocazione: CONS. SC. RELIGIOSE 7-1
immagine di Le miniature della Topografia cristiana (1908)
Le miniature della Topografia cristiana (1908)
Questo volume del 1908 presenta il testo di Cosma così come è tramandato in un manoscritto miniato. Ritorna in questa immagine la Terra a forma di tabernacolo, mentre in quella successiva abbiamo la visione del cosmo dall’alto. Qui è possibile vedere una più ampia selezione delle molte miniature riprodotte nel volume.   Le miniature della Topografia cristiana di Cosma Indicopleuste. Codice Vaticano greco 699, Milano, Ulrico Hoepli, 1908. Collocazione: 12. a. I. 14
immagine di Le miniature della Topografia cristiana (1908)
Le miniature della Topografia cristiana (1908)
Cliccare qui per vedere l’immagine a una migliore risoluzione.   Le miniature della Topografia cristiana di Cosma Indicopleuste. Codice Vaticano greco 699, Milano, Ulrico Hoepli, 1908. Collocazione: 12. a. I. 14
immagine di Lettera del Prete Gianni
Lettera del Prete Gianni
Nella collana I tesori delle biblioteche italiane è stato pubblicato nel 2004 un Cd-Rom, accompagnato da un opuscolo, in cui vengono presentati due manoscritti conservati presso la Biblioteca Civica di Verona. Nel manoscritto 398, databile al XV secolo, è riportata una delle tante versioni in volgare della lettera del Prete Gianni. Vediamo qui una riproduzione dell’incipit del testo.   CD: Mappamondo di Giovanni Leardo : Lettera di Prete Gianni, 1 Cd-Rom + 1 opuscolo, Modena, Il bulino ; Milano, Y. Press, 2004. Collocazioni: CD-ROM XA. 3 / 5 e SALA MSS. BC. 30
immagine di Abraham Ortelius, Theatrum orbis terrarum (1571)
Abraham Ortelius, Theatrum orbis terrarum (1571)
Uno degli atlanti più conosciuti e importanti del XVI secolo è il Theatrum orbis terrarum di Abraham Ortelius. Come si vede nella didascalia che accompagna questa mappa, il Regnum Abissinorum è ancora collegato alla figura del Prete Gianni, anche se ormai si tratta di un legame che non ha più nessun ipotesi realistica ma si fonda solamente sulla tradizione e sull’immaginario.   Abraham Ortelius, Theatrum orbis terrarum, Anversa, apud Coppenium Diesth, 1571. Collocazione: 18. D. V. 21 bis
immagine di Willem Jansz e Joan Blaeu, Theatrum orbis terrarum (1640)
Willem Jansz e Joan Blaeu, Theatrum orbis terrarum (1640)
Il lavoro di Ortelius viene ripreso e perfezionato da Willem Blaeu e dal figlio Joan, che pubblicano una versione aggiornata del Theatrum. Leggiamo ancora la didascalia della mappa, che questa volta è a colori: Il territorio del Regnum abissinorum acquisisce anche una nuova denominazione, Æthiopia, ma il legame col Prete Giovanni rimane.   Willem Jansz e Joan Blaeu, Theatrum orbis terrarum, sive atlas novus. Partis secundae. Pars altera, Amsterdam, apud Joh. et Cornelium Blaeu, 1640. Collocazione: 18. D. II. 11    
immagine di Hartmann Schedel, Liber Chronicarum (1493)
Hartmann Schedel, Liber Chronicarum (1493)
L’immagine unisce le c. 12r-13r del già citato Liber Chronicarum di Hartmann Schedel. Pur divisa in diverse pagine infatti l’illustrazione è concepita in maniera unitaria e il testo descrive le creature mostruose disposte sulle tre file verticali. La vicinanza di queste immagini alla mappa del mondo rimanda a quelle esplorazioni geografiche di cui abbiamo più volte parlato e che avevano anche lo scopo di scoprire le terre in cui abitavano queste creature. L’immagine ci offre l’occasione di passare a uno degli argomenti più affascinanti e curiosi di Baudolino, cioè la rappresentazione delle creature che manifestano espressioni di natura eccezionali e portentose, siamo esse mostri umani, animali fantastici o una mescolanza fra uomo e bestia.   Hartmann Schedel, Liber chronicarum, Norimberga, Anton Koberger, Sebald Schreyer & Sebastian Kammermeister, 12 luglio 1493.Collocazione: 16.E.I.1
immagine di Vaticinia Pontificum (prima metà sec. XV) - Il manoscritto A.2848
Vaticinia Pontificum (prima metà sec. XV) - Il manoscritto A.2848
Prima di passare in rassegna alcuni più famosi “libri di mostri” dei secoli XVI e XVII, ci soffermiamo su alcune rappresentazioni che hanno uno stretto legame con la Biblioteca dell’Archiginnasio. Del manoscritto A.2848 e della mostra online che lo descrive e spiega abbiamo già parlato nella gallery dedicata a Il nome della rosa, perché una delle miniature rappresenta papa Giovanni XXII. Fra le tante creature fantastiche, mitologiche e mostruose che si trovano miniate sulle carte del manoscritto, un caso particolare è costituito dalla rappresentazione di papa Urbano VI che, identificato con l’Anticristo, non è raffigurato circondato da animali come gli altri pontefici ma è lui stesso mezza bestia e mezzo uomo, come spiega la didascalia:   Il mostro apocalittico, cui nessuno è in grado di opporre resistenza - nella rubrica finale: Terribilis est. Et quis resistet tibi? - è la bestia terribile, un ibrido mostruoso di drago con testa d'uomo coronata e la coda che imprigiona nove stelle simbolo dei cardinali che lo elessero papa con l'appoggio della regina Giovanna di Napoli. La testa principale del mostro è di un uomo barbuto e, alla fine della coda, spunta una seconda testa, animalesca, che tiene tra le fauci il pomo della spada dell'Anticristo.   [Vaticinia Pontificum, sive Prophetiae Abbatis Joachini], prima metà sec. XV. Collocazione: Ms. A.2848
immagine di Stemma con basilisco
Stemma con basilisco
Fra le migliaia di stemmi presenti nel Palazzo dell’Archiginnasio sono molti quelli che riportano animali, una parte dei quali di fantasia. Invitandovi a sfogliare la banca dati La storia sui muri, in cui si trovano digitalizzate tutte le decorazioni presenti nel Palazzo, proponiamo a solo titolo esemplificativo due stemmi in cui compaiono creature inesistenti ma che hanno popolato l’immaginario fino ai nostri giorni, come lo stesso romanzo di Eco testimonia. Nello stemma di Horatius Basiliscus è naturalmente rappresentato un basilisco, che Baudolino e i suoi compagni incontrano poco prima di raggiungere le terre di Abcasia. L’animale è «come lo avevano tramandato in tanti racconti» (cap. 27, p. 349). Proprio la conoscenza che Baudolino ha delle leggende sulla pericolosa bestia gli permette di ucciderlo:   «[Baudolino] Si fermò davanti alla bestia, protese ancora lo specchio. Attirato da quei riflessi, il basilisco alzò la testa e fissò i suoi occhi di batrace proprio sulla superficie lucente, emettendo il suo fiato atrocissimo. Ma subito tremò tutto, batté delle palpebre viola, lanciò un grido terribile e si accasciò morto. Tutti allora si ricordarono che lo specchio rinvia al basilisco sia la potenza del suo sguardo che il flusso dell’alito che egli emette, e di questi due prodigi rimane vittima egli stesso» (ibidem).
immagine di Stemma con unicorno e Fenice
Stemma con unicorno e Fenice
Dello studente slovacco Gaspar Partinger (inizio XVII secolo) sono presenti in Archiginnasio due stemmi.  Entrambi si trovano nella aula III dei legisti, quello che vediamo qui è datato 1604, il secondo è invece datato 1603. Sono rappresentati due animali fantastici. L’unicorno nel romanzo ha un ruolo importante perché è presente nei primi capitoli, quando Baudolino è ancora nelle terre in cui è nato, e soprattutto accompagna e protegge Ipazia, suo vero grande amore. Dalla mostra Palazzo dell’Archiginnasio. Augustissima Musarum Domicilia apprendiamo che gli stemmi che rappresentano unicorni sono in tutto 23. La Fenice invece non compare mai, ma viene evocata da Baudolino al capezzale del padre morente, poco prima della partenza per la terza crociata:   «“Se sapessi”, gli diceva, “andrò a scoprire luoghi meravigliosi. C’è un posto dove prospera un uccello mai visto, la Fenice, che vive e vola per cinquecento anni. Quando sono passati cinquecent’anni i sacerdoti preparano un altare spargendovi spezie e zolfo, quindi arriva l’uccello che si incendia e diventa cenere. L’indomani tra le ceneri si trova un baco, il secondo giorno un uccello già formato, il terzo giorno questo uccello se ne vola via. Non è più grosso di un’aquila, sulla testa ha una cresta di piume come il pavone, il collo di un colore dorato, il becco blu indaco, le ali color porpora e la coda striata di giallo, verde e rosso. E così la Fenice non muore mai”. “Tutte balle,” diceva Gagliaudo» (cap. 22, p. 280).
immagine di Sante Nucci, Satiro (sec. XIX)
Sante Nucci, Satiro (sec. XIX)
Il capitolo 34 del romanzo si intitola Baudolino scopre il vero amore. Una scoperta che avviene proprio nel momento in cui al protagonista si rivela la reale natura di Ipazia, il suo essere, secondo i termini delle regole che gli uomini si sono dati, un mostro. Il superamento di quelle regole, la comprensione che non esistono eccezioni perché non esistono regole universali, è il momento in cui nasce il vero sentimento amoroso.   «“Signor Niceta, le ho strappato la veste, e ho veduto. Dal ventre in giù Ipazia aveva forme caprine, e le sue gambe terminavano in due zoccoli color avorio. Di colpo ho capito perché, velata dalla veste sino a terra, non sembrava camminare come chi posa i piedi, ma trascorreva leggera, quasi non toccasse il suolo. E ho capito chi fossero i fecondatori, erano i satiri-che-non-si-vedono-mai, dal capo umano e dal corpo di ariete, i satiri che da secoli vivevano al servizio delle ipazie, donando loro le femmine e crescendo i propri maschi, questi con il loro stesso volto orrendo, quelle ancora memori della venustà egizia della bella Ipazia, l’antica, e delle sue prime pupille”» (cap. 34, p. 447).   Sante Nucci, Satiro, disegno. Collocazione: GDS, Disegni di autori vari, Cart. 14, n. 61.
immagine di Ulisse Aldrovandi, Monstrorum historia (1657)
Ulisse Aldrovandi, Monstrorum historia (1657)
Pubblicata postuma per la prima volta nel 1642, la Monstrorum Historia del naturalista Ulisse Aldrovandi è forse la più famosa e completa raccolta di creature “eccezionali”. Fare un elenco delle varie casistiche - alcuni sono semplicemente animali esotici e finora ad allora sconosciuti - è impossibile, come si può intuire anche solo sfogliando uno dei tanti esemplari digitalizzati e resi consultabili online. In questo caso si tratta di una digitalizzazione realizzata dall’Università di Bologna, presso la quale Aldrovandi fu docente per 40 anni, come testimonia la lapide posta all’ingresso del Teatro Anatomico nel Palazzo dell’Archiginnasio, dove si svolgevano appunto le lezioni di Aldrovandi. Il Palazzo ospita un’altra lapide dedicata al celebre studioso. Sulla storia di queste due memorie si veda Gian Battista Vai, Storia delle lapidi di Aldrovandi e dell'VIII Centenario all’Archiginnasio, «Annales. Proceedings of the Academy of Sciences of Bologna. Classe of Physical Sciences», II, 2024, p. 39-50. In questa e nelle prossime immagini vediamo esempi di alcune delle creature descritte nell’opera e che ritroviamo in Baudolino. E le prime “eccezioni di natura” che incontriamo nel volume sono minime particolarità che riguardano l’uomo, trattato da Aldrovandi alla stregua di tutti gli altri esseri animali e quindi soggetto alla possibilità di essere “mostruoso”. In Baudolino è la saggezza dei gimnosofisti che, traslando il discorso dal piano fisico a quello morale, mette in guardia i viaggiatori dalla loro parte animale:   « “Qual è il più feroce degli animali?” chiese allora il Poeta. “L’uomo”. “Perché?” “Domandalo a te stesso. Anche tu sei una fiera che ha con sé altre fiere e per brama di potere vuole privare della vita tutte le altre fiere”» (cap. 26, p. 346).   HOMO. βραχυσομος Ulisse Aldrovandi, Monstrorum historia. Cum Paralipomenis historiae omnium animalium, Bologna, Bologna, Nicolò Tebaldini [i.e. Giovanni Battista Ferroni], 1642 [i.e. 1657]. Collocazione: 11. m. II. 4
immagine di Ulisse Aldrovandi, Monstrorum historia (1657)
Ulisse Aldrovandi, Monstrorum historia (1657)
« “[...] La prova che anche i nostri occhi si erano abituati a quel luogo l’ho avuta quando il Poeta ha incominciato a fantasticare intorno a una panozia. Era attratto da quelle sue orecchie fluenti, lo eccitava la bianchezza della sua pelle, la trovava flessuosa e con le labbra ben disegnate. Aveva visto due panozi accoppiarsi in un campo e indovinava che l’esperienza doveva essere deliziosa: entrambi si avvolgevano l’uno nell’altro con le orecchie e copulavano come se stessero dentro una conchiglia, o come se fossero quella carne tritata avvolta da foglie di vite che avevamo gustato in Armenia. Deve essere splendido, diceva [...]”» (cap. 31, p. 401-402).   Homo Fanesius auritus Cliccare qui per vedere l’immagine a una migliore risoluzione. Ulisse Aldrovandi, Monstrorum historia. Cum Paralipomenis historiae omnium animalium, Bologna, Bologna, Nicolò Tebaldini [i.e. Giovanni Battista Ferroni], 1642 [i.e. 1657]. Collocazione: 11. m. II. 4
immagine di Ulisse Aldrovandi, Monstrorum historia (1657)
Ulisse Aldrovandi, Monstrorum historia (1657)
«“[...] All’improvviso abbiamo visto venire verso di noi una squadra di uomini a cavallo. Erano vestiti sontuosamente, avevano armi lucenti, corpo umano e teste di cane”. “Erano cinocefali. Dunque esistono”» (cap. 36, p. 464).   Cynocephali effigies Ulisse Aldrovandi, Monstrorum historia. Cum Paralipomenis historiae omnium animalium, Bologna, Bologna, Nicolò Tebaldini [i.e. Giovanni Battista Ferroni], 1642 [i.e. 1657]. Collocazione: 11. m. II. 4
immagine di Ulisse Aldrovandi, Monstrorum historia (1657)
Ulisse Aldrovandi, Monstrorum historia (1657)
«La seconda bestia aveva una testa di leone, che ruggiva, il corpo di capra e le terga di drago, ma sul corpo caprino si elevava una seconda testa cornuta e belante. La coda era un serpente, che sibilando si drizzava in avanti a minacciare gli astanti. [...] Prese per primo l’iniziativa Aleramo Scaccabarozzi detto il Ciula, che ormai non si separava più dal suo arco. Scoccò una freccia proprio nel mezzo del capo del gatto, che stramazzò esanime. A quella vista la chimera fece un balzo in avanti. Coraggiosamente il Cuttica di Quargnento, gridando che a casa sua aveva saputo ridurre a miti consigli tori in amore, le si fece incontro per trafiggerla, ma inopinatamente il mostro spiccò un balzo, gli fu addosso e stava azzannandolo con le sue fauci leonine quando corsero il Poeta, Baudolino e Colandrino a tempestare di fendenti la belva sino a che mollò la presa e si accasciò al suolo» (cap. 27, p. 356-357).   Icon Monstrosæ cuiusdam Chimæræ Ulisse Aldrovandi, Monstrorum historia. Cum Paralipomenis historiae omnium animalium, Bologna, Bologna, Nicolò Tebaldini [i.e. Giovanni Battista Ferroni], 1642 [i.e. 1657]. Collocazione: 11. m. II. 4
immagine di Ulisse Aldrovandi, Monstrorum historia (1657)
Ulisse Aldrovandi, Monstrorum historia (1657)
«Passarono attraverso la nebbia, poi videro di nuovo la luce del sole. Rimasero come abbacinati, e Abdul tornò a essere scosso da tremiti febbrili. Pensavano che dopo la prova di Abcasia sarebbero entrati nelle terre desiderate, ma dovettero ravvedersi. Subito svolazzarono sulle loro teste uccelli dal volto umano che gridavano: “Quale suolo calpestate? Tornate indietro! Non si può violare la terra dei Beati! Tornate indietro a calpestare la terra che vi è stata data!” Il Poeta disse che si trattava di una stregoneria, forse uno dei modi in cui veniva protetta la terra del Prete, e li convinse a procedere» (cap. 27, p. 356).   Harpyæ prima icon Ulisse Aldrovandi, Monstrorum historia. Cum Paralipomenis historiae omnium animalium, Bologna, Bologna, Nicolò Tebaldini [i.e. Giovanni Battista Ferroni], 1642 [i.e. 1657]. Collocazione: 11. m. II. 4  
immagine di Ulisse Aldrovandi, Monstrorum historia (1657)
Ulisse Aldrovandi, Monstrorum historia (1657)
«Dopo pochi istanti le felci si aprirono e apparve un altro essere. Era diversissimo dallo sciapode, e d’altra parte al sentire nominare un blemma i nostri amici si attendevano di vedere quello che videro. La creatura, con spalle amplissime e dunque molto tarchiata, ma di vita sottile, aveva due gambe corte e pelose e non aveva testa, né peraltro collo. Sul petto, dove gli uomini hanno i capezzoli, si aprivano due occhi a mandorla, vivacissimi e, sotto un leggero rigonfiamento con due narici, una sorta di foro circolare, ma molto duttile, così che quando si mise a parlare gli faceva assumere varie forme, a seconda dei suoni che emetteva. Gavagai andò a confabulare con lui; mentre gli mostrava i visitatori, quello visibilmente annuiva, ed annuiva piegando le spalle come se s’inchinasse» (cap. 29, p. 372-373).   Monstrum Acephalon Ulisse Aldrovandi, Monstrorum historia. Cum Paralipomenis historiae omnium animalium, Bologna, Bologna, Nicolò Tebaldini [i.e. Giovanni Battista Ferroni], 1642 [i.e. 1657]. Collocazione: 11. m. II. 4
immagine di Ulisse Aldrovandi, Monstrorum historia (1657)
Ulisse Aldrovandi, Monstrorum historia (1657)
L’immagine non si riferisce in questo caso a un essere della fantasia, ma descrive, come molte altre nell’opera di Aldrovandi, una possibile malformazione del corpo umano. È infatti indubbio che «come dietro l’unicorno c’è il rinoceronte, dietro i cinocefali potrebbero esserci i babbuini e dietro Gianni un qualche capo tribù davvero vissuto tra le montagne dell’Asia» (Gioia Zaganelli, Introduzione, in La lettera del Prete Gianni, p. 7-44: 29), dietro gli sciapodi ci sono deformità da cui può essere colpito l’essere umano fin dalla nascita, come il mancato sviluppo di uno o più arti.   II. Infans sine brachijs, & unico crure Ulisse Aldrovandi, Monstrorum historia. Cum Paralipomenis historiae omnium animalium, Bologna, Bologna, Nicolò Tebaldini [i.e. Giovanni Battista Ferroni], 1642 [i.e. 1657]. Collocazione: 11. m. II. 4
immagine di Ulisse Aldrovandi, Monstrorum historia (1657)
Ulisse Aldrovandi, Monstrorum historia (1657)
«Ecco i ponci e, anche se ne avevano letto, i nostri amici non cessavano di esaminare con occhio curioso quegli esseri con le gambe diritte senza giunture alle ginocchia, che camminavano in modo rigido appoggiando al suolo zoccoli equini. Ma ciò che li faceva notare era, per gli uomini, il fallo che pendeva sul petto, e per le femmine, nella stessa posizione, la vagina, che però non si vedeva perché la coprivano con uno scialle annodato dietro la schiena» (cap. 29, p. 380).   Che l’essere descritto da Eco assomigli a questo solamente per il fallo pendente dal petto, dimostra che i caratteri di eccezionalità delle diverse creature possono essere mescolati, scambiati, sincreticamente radunati in un unico corpo, senza limiti se non quelli della fantasia dei diversi autori.   II. Monstrum ermaphroditicum pedibus aquilinis Ulisse Aldrovandi, Monstrorum historia. Cum Paralipomenis historiae omnium animalium, Bologna, Bologna, Nicolò Tebaldini [i.e. Giovanni Battista Ferroni], 1642 [i.e. 1657]. Collocazione: 11. m. II. 4
immagine di Ulisse Aldrovandi, Monstrorum historia (1657)
Ulisse Aldrovandi, Monstrorum historia (1657)
«Gli animali che li stupirono di più erano dei quadrupedi agilissimi, adibiti al traino dei carretti: avevano corpo di puledro, gambe assai alte con uno zoccolo bovino, erano di un giallo a grandi chiazze marrone, e soprattutto avevano un collo lunghissimo su cui si ergeva una testa di cammello con due piccole corna al sommo del capo. Gavagai disse che erano camelopardi, difficili da catturare perché fuggivano velocissimi, e solo gli sciapodi potevano inseguirli e prenderli al laccio» (cap. 29, p. 378).   Dopo avere visto un basilisco, uccelli dal volto umano, una chimera, una manticora e diversi altri portenti della natura, l’animale che più stupisce Baudolino e i suoi è una giraffa. Il motivo è presto spiegato: se Gavagai deve dire loro il nome dell’animale, significa che oltre a non averla mai vista - cosa che vale anche per tutte le altre creature - non ne hanno mai letto sui libri. Più volte infatti Eco si riferisce al fatto che la compagnia non si stupisce di ciò che vede perché il loro orizzonte culturale è fondato su opere letterarie che sorprendentemente - per noi, ma non per i personaggi - si rivelano veritiere. Del camelopardo-giraffa in queste opere non si parlava e quindi proprio quello è - per i personaggi, ma non per noi - l’essere più stupefacente. Abbiamo citato la manticora (o il manticora), che nel romanzo ha un ruolo importante perché uccide Abdul. La sua presenza nei bestiari è meno frequente che quella di altri animali fantastici, ma era ben conosciuta nel mondo classico. Si veda a proposito il volume Sulle tracce del manticora. La zoologia dei confini del mondo in Grecia e a Roma di Pietro Li Causi.   Camelopardalis mas Ulisse Aldrovandi, Monstrorum historia. Cum Paralipomenis historiae omnium animalium, Bologna, Bologna, Nicolò Tebaldini [i.e. Giovanni Battista Ferroni], 1642 [i.e. 1657]. Collocazione: 11. m. II. 4
immagine di Fortunio Liceti, De monstrorum caussis, natura et differentiis (1633)
Fortunio Liceti, De monstrorum caussis, natura et differentiis (1633)
Anche il medico Fortunio Liceti insegnò a lungo presso l’Università di Bologna. Il suo libro affronta il tema dei cosiddetti “mostri della natura” da un punto di vista medico e scientifico, sia in relazione agli animali che agli umani. Vediamo in questa immagine e nelle successive una breve rassegna di esempi di malformazioni dei corpi che nei secoli passati erano state spunto per la creazione di creature fantastiche. In questa immagine ecco un serpente con due teste, simile a quelli che durante la notte passata in Abcasia attaccano la compagnia dei viaggiatori (cap. 27, p. 349).   Fortunio Liceti, De monstrorum caussis, naturis et differentiis, Padova, Paolo Frambotto, 1633. Collocazione: 10. O. III. 35
immagine di Fortunio Liceti, De monstrorum caussis, natura et differentiis (1633)
Fortunio Liceti, De monstrorum caussis, natura et differentiis (1633)
Anche in questa immagine, come già visto in Aldrovandi, un bambino nato con una sola gamba, malformazione reale che dà nutrimento alla fantasia per la creazione degli sciapodi.   Fortunio Liceti, De monstrorum caussis, naturis et differentiis, Padova, Paolo Frambotto, 1633. Collocazione: 10. O. III. 35
immagine di Fortunio Liceti, De monstrorum caussis, natura et differentiis (1633)
Fortunio Liceti, De monstrorum caussis, natura et differentiis (1633)
Un bambino che ha somiglianza con il figlio morto di Baudolino, di cui abbiamo già citato la descrizione in cui gli arti vengono paragonati a tentacoli di polpo (cap. 18, p. 238).   Fortunio Liceti, De monstrorum caussis, naturis et differentiis, Padova, Paolo Frambotto, 1633. Collocazione: 10. O. III. 35
immagine di Ambroise Paré, Les oeuures d'Ambroise Paré (1585)
Ambroise Paré, Les oeuures d'Ambroise Paré (1585)
Baudolino capisce che animali comuni per lui possono essere stupefacenti per chi non li ha mai visti o non ne ha mai sentito parlare. Così, per divertire il malinconico Diacono Giovanni, narra «dei viaggi di San Brandano alle Isole Fortunate e come un giorno, credendo di approdare su una terra in mezzo al mare, fosse disceso sul dorso di una balena, che è un pesce grande come una montagna, capace d’ingoiare una nave tutta intera [...]» (cap. 31, p. 411). Baudolino continua il racconto:   «gli ho elencato le bestie prodigiose dei miei paesi, il cervo, che ha due grandi corna in forma di croce, la cicogna che vola di terra in terra, [...] la coccinella che è simile a un piccolo fungo, [...] la lucertola, che è come un coccodrillo, ma così piccola che passa sotto le porte» (cap. 31, p. 411-412).   E poi il cuculo, la civetta, l’ostrica, il falcone, seguiti da gemme, pietre preziose, spezie. La capacità narrativa di Baudolino confeziona un vero e proprio “libro delle meraviglie” ad uso e consumo del Diacono, allietando le sue ultime settimane di vita.   Figure d’une balaine prise, & le depart d’icelle Ambroise Paré, Les oeuures d'Ambroise Paré, conseiller, et premier chirurgien du Roy. Diuisees en vingt huict liures, auec les figures & portraicts, tant de l'anatomie que des instruments de chirurgie, & de plusieurs monstres, Reueues & augmentées par l'autheur. Quatriesme edition, Parigi, Gabriel Buon, 1585. Collocazione: 32. A. 56 / 2
immagine di Ambroise Paré, Les oeuures d'Ambroise Paré (1585)
Ambroise Paré, Les oeuures d'Ambroise Paré (1585)
Anche un piccolo camaleonte può essere una creatura fantastica:   «Come era stato tenero e pastorale quando aveva raccontato della morte di Abdul, così [Baudolino] fu epico e maestoso nel riferire di quel guado. Segno, pensava ancora una volta Niceta, che Baudolino era come quello strano animale, di cui lui - Niceta - aveva sentito soltanto dire, ma che forse Baudolino aveva persino visto, detto camaleonte, simile a una piccolissima capra, che cambia colore a seconda del luogo in cui si trova, e può svariare dal nero al verde tenero, e solo il bianco, colore dell’innocenza, non può assumere» (cap. 28, p. 363).   Portraict d’un Chameleon Ambroise Paré, Les oeuures d'Ambroise Paré, conseiller, et premier chirurgien du Roy. Diuisees en vingt huict liures, auec les figures & portraicts, tant de l'anatomie que des instruments de chirurgie, & de plusieurs monstres, Reueues & augmentées par l'autheur. Quatriesme edition, Parigi, Gabriel Buon, 1585. Collocazione: 32. A. 56 / 2
immagine di Ermanno Cavazzoni, Guida agli animali fantastici (2011)
Ermanno Cavazzoni, Guida agli animali fantastici (2011)
Abbandoniamo Eco per mostrare come l’immaginario legato a mostri, portenti e prodigi di natura sia ancora oggi fecondo e produttivo. Naturalmente questo vale per le opere narrative come Baudolino, nel quale, scrive Alessio Pezzella, a un certo punto «nella trama storica e picaresca si innesta la parentesi fantasy» (Metanarrativa e verità in Baudolino, in Prove di forza del falso. Studi su Umberto Eco, p. 33-64: 37), genere in cui queste creature sono protagoniste. Ma si possono rintracciare anche nella modernità interessanti testi di fantazoologia. Senza chiamare in causa gli esempi più conosciuti come il Manuale di zoologia fantastica di Borges, vediamo qualche opera meno conosciuta ma che presenta spunti di interesse. La Guida agli animali fantastici di Ermanno Cavazzoni, come il manuale di Borges e diversamente da quasi tutti gli altri libri citati, non ha immagini e si affida alla sola parola per descrivere sirene, unicorni e altri prodigi. Contrariamente a quanto fece Aldrovandi, l’uomo chiude l’elenco invece di aprirlo.   Ermanno Cavazzoni, Guida agli animali fantastici, Parma, Guanda, 2011. Collocazione: 20. Q. 1668
immagine di Altan - Benni, 10 teorie sull'estinzione dei dinosauri (e 25 animali fantastici) (2016)
Altan - Benni, 10 teorie sull'estinzione dei dinosauri (e 25 animali fantastici) (2016)
A dimostrazione che lo zoo degli animali fantastici è in continua espansione, uno dei più importanti disegnatori italiani, Francesco Tullio-Altan, ne inventa 25 mai visti prima.   Fintomorto e Gnu dal membro blu Altan - Benni, 10 teorie sull'estinzione dei dinosauri (e 25 animali fantastici), Roma, Gallucci, 2016. Collocazione: MISC. A. 5931
immagine di Michele Mingrone - Sara Vettori, Animali misteriosi & come mangiarli (2022)
Michele Mingrone - Sara Vettori, Animali misteriosi & come mangiarli (2022)
Rimaniamo sul versante dell’ironia, con un piccolo libretto in cui gli autori forniscono gustose ricette di cui sono protagoniste le carni di animali di fantasia. Con la Fenice, naturalmente, si può preparare Un piatto immortale. Per conoscere il risultato finale della lunga lavorazione, che naturalmente prevede la cottura alla brace, si veda l’immagine successiva.   Animali misteriosi & come mangiarli, [Michele Mingrone, illustrazioni di Sara Vettori], Eboli (SA), NPE, 2022. Collocazione: 20. H. 3467
immagine di Michele Mingrone - Sara Vettori, Animali misteriosi & come mangiarli (2022)
Michele Mingrone - Sara Vettori, Animali misteriosi & come mangiarli (2022)
Il modo migliore per gustare l’uccello immortale: Fenice alla fiamma con erbe aromatiche.   Animali misteriosi & come mangiarli, [Michele Mingrone, illustrazioni di Sara Vettori], Eboli (SA), NPE, 2022. Collocazione: 20. H. 3467
immagine di Eric Hudspeth, Il codice delle creature estinte (2019)
Eric Hudspeth, Il codice delle creature estinte (2019)
Il codice delle creature estinte è un’opera stupefacente per capacità inventiva e realizzazione grafica. L’introduzione ci dà conto della storia del dottor Spencer Black, che negli Stati Uniti di fine Ottocento visse una vicenda appassionante e misteriosa che dalle sale operatorie lo porta agli spettacoli circensi, alla costante ricerca di animali fantastici. Lungo tutta la sua vita il dottor Black raccolse dati e osservazioni per comporre la sua opera scientifica più importante, questo Codice delle creature estinte che finalmente viene pubblicato postumo, ricco di tavole anatomiche che mostrano arpie, draghi e altri esseri portentosi da ogni punto di vista. Il dottor Black ha veramente incontrato queste creature? Oppure è stato solamente un impostore che “costruiva” esseri prodigiosi assemblando parti di animali “comuni”? Le domande si accavallano e si assommano, fino a giungere a quella più importante: il dottor Spencer Black è realmente esistito?   Chimæra incendiaria Eric Hudspeth, Il codice delle creature estinte. L'opera perduta del dottor Spencer Black, [Roma], Moscabianca, 2019. Collocazione: 20. C. 3238
immagine di Eric Hudspeth, Il codice delle creature estinte (2019)
Eric Hudspeth, Il codice delle creature estinte (2019)
Tavole anatomiche della Chimæra incendiaria Eric Hudspeth, Il codice delle creature estinte. L'opera perduta del dottor Spencer Black, [Roma], Moscabianca, 2019. Collocazione: 20. C. 3238
immagine di Ex libris di Umberto Eco
Ex libris di Umberto Eco
Chiudiamo questa rassegna con una piccola curiosità. L’immagine mostra l’ex libris che il professore apponeva sui propri libri antichi. Tratta da Della tramutatone metallica di Giovanni Battista Nazari (XVI secolo) la silografia «rappresenta un asino seduto su una pietra che suona un piffero ascoltato da una popolazione di scimmie che danzano attorno a lui, la schiena dell’asino è appoggiata a una cornucopia» (Marina Zetti, L’ex libris della collezione di Umberto Eco, in L'idea della biblioteca. La collezione di libri antichi di Umberto Eco alla Biblioteca nazionale Braidense, p. 78-80: 79-80). Al di là del significato della scelta compiuta da Eco - è lui che incanta le scimmie col piffero? - l’asino antropomorfo è l’ennesima creatura fantastica del nostro viaggio.
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