copertina di Saint Omer
28 giugno 2023, 21:45 @ Arena Puccini

Saint Omer

(Francia/2022) di Alice Diop (122') | Arena Puccini 2023

Saint Omer

Regia: Alice Diop

Interpreti: Kayijge Kagame, Guslagie Malanda, Valérie Dréville, Aurelia Pétit, Xavier Maly, Robert Cantarella, Salimata Kamale

Origine e produzione: Francia / Toufik Ayadi, Christophe Barral, Srab Films, Minerva Pictures

Durata: 122’

Rama è una scrittrice che assiste al processo di Laurence Coly, una giovane donna accusata di aver ucciso la figlia di 15 mesi. I testimoni e le parole della stessa Coly fanno presto vacillare le convinzioni di Rama.

  • Leone d’Argento Gran Premio della Giuria e Leone del Futuro al Festival di Venezia 2022

“All’origine di Saint Omer c’è un fatto di cronaca accaduto in Francia, una giovane donna senegalese che ha abbandonato tra le onde, a Berck-sur-Mer, il figlioletto di quindici mesi. All’inizio gli investigatori avevano pensato che fosse un piccolo migrante annegato in mare ma guardando le immagini nelle telecamere di sorveglianza hanno scoperto cosa era davvero accaduto. La ragazza era una studentessa, i media avevano sottolineato continuamente nel corso del processo la sua intelligenza, quanto fosse brillante, la raffinatezza del suo linguaggio eppure per «spiegare» il proprio gesto la donna aveva fatto ricorso alla stregoneria: una maledizione lanciata dai parenti, qualcosa di sovrannaturale, al di là della sua volontà.

Il film di Alice Diop, regista di grande talento nel cinema francese contemporaneo qui al suo esordio in una «finzione» che non accantona la cifra documentaria – utilizzando anche materiali dal suo precedente e molto bello Nous – non è una ricostruzione «basata su una storia vera»; la scelta di Diop è piuttosto di investigare un gesto che non si può nominare, quale appunto il matricidio, che si indica ricorrendo al mito e però è talmente inaccettabile nella narrazione dell’umano da avere bisogno per parlarne di un «alibi» in cui dissimularlo: la follia, la manipolazione, persino la stregoneria. Nella figura di Fabienne Kabou – così si chiama la donna – se ne sovrappongono infinite altre, quelle che la cronaca ci restituisce ogni giorno con la loro evidenza e insieme con quel terribile mistero: come può accadere? Cosa spinge a uccidere il proprio figlio? Quale disperazione, quale dolore? È su questo bordo che Diop costruisce Saint Omer provando attraverso una regia essenziale, che utilizza suggestioni e mai indicazioni nette a aprire più piste con cui interrogare la comunità sociale, gli uomini, la famiglia. E nella scelta di una linea femminile – madre e figlia – concentra il senso in un «maternale» indissolubile di conflitti e fragilità, i cui segni, le «chimere» le chiama la scienza, rimangono nell’una e nell’altra continuando la trasmissione nel tempo.

[…] Si può obiettare che la maternità dovrebbe essere sociale, che ha bisogno di essere appresa – la ragazza dice di avere studiato come partorire su internet – che c’è una responsabilità dell’uomo e una sua partecipazione. Tutto questo viene dispiegato nella parte iniziale ma pian piano Diop sposta il suo punto di vista, quasi a elidere ciò che permette di racchiudere in una spiegazione «codificata» quanto è accaduto. È interrogarsi – e interrogare lo spettatore – che le interessa, su questo fonda la tensione che porta il personaggio di Rama (Kaiije Kagame) a riflettersi nell’altra mettendo in gioco così anche sé stessa. Le immagini della memoria di Rama – che sono quelle dei filmati famigliari di Diop ragazzina utilizzati in Nous – allargano il punto di vista, lasciandolo oscillare tra le descrizioni degli atti e quei silenzi ellittici dell’irrequietezza e dell’ambiguità. Saint Omer non è un film su un matricidio: è la ricerca di una parola in cui potersi riconoscere, di un racconto e di un’immagine che sfuggono a quelli del pregiudizio, e provano a illuminare vertiginosamente un vuoto e un sentimento al di là di ogni comprensione.”

Cristina Piccino, Il Manifesto