
Piccole cose come queste
(Small Things Like These, Irlanda-USA-Belgio/2024) di Tim Mielants (98') | Arena Puccini
Piccole cose come queste
(Small Things Like These, Irlanda-USA-Belgio/2024) di Tim Mielants (98')
Con: Cillian Murphy e Emily Watson
Bill è un venditore di carbone che, assieme alla moglie Eileen, sta cercando di far quadrare il bilancio famigliare in procinto del Natale. Nel frattempo scopre il trattamento inumano che orfani e ragazze madri subiscono in un convento cattolico e decide di agire.
“Il dramma delle «Magdalene Laundries» (o «Case della madre e del bambino») è una delle pagine più buie della storia d’Irlanda (e d’Europa): fino a poco meno di trent’anni fa (al 1996-98), si stima che oltre trentamila ragazze irlandesi furono schiavizzate con «il placet» del governo statale e le sovvenzioni della chiesa cattolica. L’obiettivo (si fa per dire) era rieducare le cosiddette «fallen women», quelle donne che avevano perso la loro innocenza, attraverso violenze psicologiche, umiliazioni, abusi e sfruttamento di ogni tipo. Molte famiglie irlandesi chiedevano loro stesse che le figlie fossero rinchiuse. È ciò che accade, per esempio, a Margaret, una delle protagoniste di Magdalene - il film Leone d’oro nel 2002 di Peter Mullan -, colpevole di essere rimasta incinta fuori dal matrimonio perché stuprata dal cugino. Small Things Like These, tratto dall’omonimo romanzo di Claire Keegan, è il controcampo iper-intimista di Magdalene. La pellicola racconta di Bill Furlong (Cillian Murphy), un carbonaio di New Ross che lavora, tra le altre cose, per una «Magdalene Laundries» della zona, caricando e scaricando ogni giorno enormi sacchi di torba, antracite, carbonella e legna. Un pomeriggio assiste a un litigio: una madre sta costringendo la figlia a entrare nel convento, mentre quest’ultima prega il padre di fermarla. [...] L’azione emotiva della pellicola è chiusa in una fotografia cupa, tra offuscamenti, non-fuoco e primissimi piani che inglobano e raccordano la luce domestica. Oltre l’abitazione di Bill, oltre il convento, a fare da protagonista è la neve, la nemesi di ogni scrittore e scrittrice irlandese. Se in Eveline la neve identificava la paralisi interiore, nel romanzo di Keegan, al contrario della protagonista del racconto di Joyce, Bill reagisce alla stasi. L’elemento epifanico è diffuso gradualmente nel percorso narrativo, l’alternanza dei flashback trasforma, in questo senso, l’analessi in prolessi: Bill trova nel passato ciò che lo spingerà ad agire nel presente. [...] La messa in scena polifonica del regista belga restituisce in gran parte il sottosuolo emotivamente conflittuale del romanzo, i suoi infiniti punti di vista. Dalla finta soggettiva che ci mostra la nuca di Bill mentre guida il camion, alle dissolvenze incrociate, ai controcampi rallentanti tra Bill e suor Mary (la direttrice del convento), o, ancora, la scelta di cristallizzare le ombre sul volto di Murphy mentre, fuori campo, le voci della madre superiore e di Sarah (una ragazza chiusa nel convento) aumentano l'intensità del tono musicale, apparentemente diegetico. Fino, poi, alla camera a plongée che fotografa le mani di Bill mentre quest’ultimo le lava dal carbone, dal passato, a cui però non riesce a sfuggire.”
Davide Spinelli, Ondacinema