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Commune de Bologne

Album “Gli anni del coltello”: immagini e documenti

Il sesto incontro del Gruppo di Lettura è dedicato all’ultimo romanzo pubblicato da Evangelisti prima della morte, Gli anni del coltello (Mondadori, 2021). Quest’opera è la continuazione di 1849. I guerrieri della libertà, uscito due anni prima sempre per Mondadori, i cui eventi si concentravano nel biennio 1848-1849 e raccontavano l’esperimento rivoluzionario della Repubblica romana. Gli anni del coltello copre invece il periodo successivo al fallimento di quell’esperienza, fino circa alla metà degli anni Cinquanta del XIX secolo. La spiegazione del titolo si trova nelle prime pagine del romanzo:

«“Secondo me cominciano gli anni del coltello”.

“Cosa vuoi dire?”

Gabariol non rispose. Il suo pensiero inespresso era che, dopo una sconfitta e nell’impossibilità di riprendere una guerra aperta, fosse il momento di punire il nemico in maniera silenziosa ma sistematica. Di spaventarlo con un’armata segreta che, a furia di esecuzioni individuali, spargesse il terrore nel campo avverso, lo costringesse alla confusione e desse coraggio ai resistenti. Fino al momento della riscossa decisiva, che nessun esercito, decimato nei quadri civili e militari, pieno di paura, avrebbe saputo fronteggiare» (p. 18-19).

Protagonisti dei due romanzi citati sono il ravennate Folco Verardi e il forlivese Giovanni Marioni detto Gabariol, che poi per ragioni di sicurezza assumerà il nome di Goffredo Zambelli. I due sono i padri rispettivamente di Attilio Verardi e Giovanni Zambelli, due dei personaggi da cui prendeva le mosse la trilogia Il Sole dell’Avvenire. I due romanzi del 2019 e del 2021 costituiscono quindi il prequel di questa trilogia. Si va quindi a comporre un grande affresco - a cui forse manca il tassello di un sesto romanzo mai scritto a causa della morte di Evangelisti - che racconta un secolo di storia italiana con gli occhi di chi il potere non lo detiene, anzi spesso lo subisce e lo combatte in nome di idee rivoluzionarie e egualitarie.

Evangelisti si era già confrontato con il tema risorgimentale nel racconto lungo La controinsurrezione, uscito nel 2008 in un volume dal titolo Controinsurrezioni che conteneva anche un racconto di Antonio Moresco. In occasione della pubblicazione di 1849. I guerrieri della libertà era uscita anche una nuova edizione riveduta del testo di Evangelisti, con il titolo leggermente modificato Controinsurrezione.

Di Gli anni del coltello è uscita al momento la sola edizione citata in precedenza, a cui fanno quindi riferimento le citazioni di pagine specifiche. Le citazioni tratte da 1849. I guerrieri della libertà rimandano all’edizione Mondadori del 2019 (il romanzo è stato ripubblicato dallo stesso editore due anni dopo).

image de Valerio Evangelisti, Gli sbirri alla lanterna
Valerio Evangelisti, Gli sbirri alla lanterna
Come spesso ci è capitato di fare nelle galleries precedenti, prima di affrontare l’opera romanzesca è bene partire da un testo saggistico di Evangelisti. In questo caso il saggio Gli sbirri alla lanterna. La plebe giacobina bolognese dall’anno I all’anno V (1792-1797), uscito nel 1991 per le edizioni Bold Machine poi ripubblicato nel 2005 da DeriveApprodi con un sottotitolo leggermente abbreviato - La plebe giacobina bolognese (1792-1797) - e l’aggiunta di una prefazione di Valerio Romitelli (a questa edizione fanno riferimento le citazioni di pagine). Il testo rimane invariato, compreso l’errore di chiamare in più punti Giovan Battista De Rolandis col nome di Giuseppe. Il testo, pur concentrandosi su un quinquennio che precede di circa mezzo secolo gli eventi che Evangelisti narrerà nei due romanzi risorgimentali, ci sembra un antefatto fondamentale perché proprio negli anni 1792-1797 (e in particolare nel biennio successivo all’entrata dei francesi a Bologna nel 1796) si verifica un mutamento socio-politico che indirizzerà tutta la storia risorgimentale della città e di buona parte dell’Italia. Nella città felsinea infatti, ed Evangelisti sottolinea la sostanziale unicità del caso, già alla fine del XVIII secolo e per la prima volta nell’Italia moderna, il popolo - la plebe del sottotitolo - diventa protagonista attivo della vita politica, portando avanti istanze di cambiamento prima sociale poi politico ben più radicali rispetto a quelle proposte dalla borghesia e dagli intellettuali. Per usare le parole di Evangelisti: «Decisamente siamo allo spartiacque tra un secolo e l’altro, alla soglia del dischiudersi di una nuova soggettività popolare» (p. 62). Si verifica insomma negli ultimi anni del secolo «una più vasta trasformazione, politica e psicologica a un tempo, che vede la plebe farsi popolo, in attesa di divenire proletariato» (p. 86). Il partito giacobino bolognese compie in questi anni delle scelte «che davvero spianano la via ai modelli politici del secolo successivo» (p. 98). Bastano queste poche citazioni per capire che l’interpretazione storica che Evangelisti offre di questi cinque anni è la base su cui si costruisce il castello narrativo che comprende i due romanzi risorgimentali e la trilogia Il Sole dell’Avvenire, imperniato appunto sul protagonismo delle classi popolari nell’attività rivoluzionaria in campo politico e sociale. Per questo e per altri motivi ci soffermeremo più a lungo del solito su questo testo saggistico.   A sinistra: Valerio Evangelisti, Gli sbirri alla lanterna. La plebe giacobina bolognese dall'anno I all'anno V (1792-1797), Bologna, Edizioni Bold Machine, 1991. Collocazione: 20. E. 1067   A destra: Valerio Evangelisti, Gli sbirri alla lanterna. La plebe giacobina bolognese (1792-1797), Roma, DeriveApprodi, 2005. Collocazione: 17*. AA. 870
image de Les aristocrates à la lanterne
Les aristocrates à la lanterne
Breve digressione prima di entrare nel testo. Il titolo Gli sbirri alla lanterna fa riferimento ai celebri versi della “versione sanculotta” del Ah! ça ira. Nei primi giorni della Rivoluzione Francese infatti al canto popolare vennero aggiunti dei versi, fra i quali quelli che così recitavano:   Ah! ça ira, ça ira, ça ira!Les aristocrates à la lanterne.Ah! ça ira, ça ira, ça ira!Les aristocrates on les pendra.Si on n' les pend pasOn les rompraSi on n' les rompt pasOn les brûlera.   I versi fanno riferimento ad alcune impiccagioni “celebri” - in particolare quelle del Ministro delle Finanze Foullon e dell’Intendente di Parigi Berthier avvenute il 22 luglio 1789 - per le quali non era stata utilizzata una forca “regolare” ma il supporto di un lampione - la lanterne appunto -  situato in Place de Grève. Anche Giosue Carducci intitola Ça ira la raccolta di 12 sonetti con cui celebra non tanto la Rivoluzione Francese quanto, come scrive nelle note che chiudono la plaquette uscita nel 1883 per la casa editrice Sommaruga di cui è possibile vedere qui la copertina, il settembre 1792, che «resta pur sempre il momento più epico della storia moderna». La lanterne di Place de Grève diventa un simbolo rivoluzionario così importante da prendere addirittura la parola all’interno di un pamphlet di Camille Desmoulins - uno dei protagonisti della Presa della Bastiglia - per indirizzare un discorso al popolo parigino. Il Discours de la lanterne aux parisiens viene pubblicato infatti il 15 settembre di quello stesso 1789 e in esso è proprio «questa “lanterna” che si suppone fare un’arringa al popolo di Parigi» (si veda l’introduzione al volume citato sotto Scritti di Camillo Desmoulins, p. 9). Un’invenzione che renderà la lanterne un vero e proprio “personaggio” e Desmoulins uno dei leader del primo periodo della Rivoluzione, tanto che lui stesso dirà: «Molti dicono che io ne sono l’autore» (ivi, p. 7). Evangelisti conclude Gli sbirri alla lanterna con un riferimento diretto alla provenienza del titolo da lui scelto:   «Per una resurrezione inattesa del giacobinismo “duro”, viscerale, plebeo, occorrerà attendere il 1802, con le sanguinose imprese degli Amici del Popolo e della Società degli Stilettatori, e con i cortei di operai che, in piena età napoleonica, assaliranno le case dei possidenti cantando il ça ira e inalberando il berretto frigio. Ma allora la parola d’ordine sarà non già “gli sbirri alla lanterna”, bensì “i ricchi alla lanterna”» (p. 157).   Il tema dell’impiccagione ci conduce alla prossima immagine con il tramite di un altro elemento del paratesto del saggio di Evangelisti, l’illustrazione di copertina della sua più recente edizione.   A sinistra: Camille Desmoulins, Scritti di Camillo Desmoulins. La Francia libera ; Lettera della "Lanterna" ai parigini, Milano, Sonzogno, stampa 1910. Collocazione: TREBBI. Cart. 28/B, 18   A destra: Camille Desmoulins, Oeuvres de Camille Desmoulins, 3 tomes, Paris, Librairie de la Bibliothèque Nationale, 1866. Collocazione: 9. N. VI. 40 Questa edizione contiene in un volume unico i tre tomi delle opere di Desmoulins, in altre edizioni pubblicati separatamente. Il “discorso della lanterna”, qui intitolato semplicemente La lanterne aux parisiens, si trova all’inizio del secondo tomo, p. 7-62.   
image de Giuseppe Guidicini e Domenico Ramponi, Esecuzione della Giustizia di Forca
Giuseppe Guidicini e Domenico Ramponi, Esecuzione della Giustizia di Forca
Vale la pena per noi soffermarsi su Gli sbirri alla lanterna anche perché molte delle fonti utilizzate da Evangelisti sono documenti unici che fanno parte del patrimonio dell’Archiginnasio. Il primo che vediamo è il manoscritto B. 2329, in cui si trova l’acquarello dal quale è tratto il dettaglio utilizzato per la copertina dell’edizione DeriveApprodi vista nell’immagine precedente. Ecco una sintetica descrizione del manoscritto, acquistato nel 1873 dall’allora direttore dell’Archiginnasio Luigi Frati, tratta dall’introduzione di Pierangelo Bellettini al volume in cui il lavoro di Guidicini e Ramponi è stato pubblicato a stampa:   «Nel 1818, il cinquantacinquenne Giuseppe Guidicini affidava al pittore Domenico Ramponi [...] il compito di documentare col disegno i Vestiari, usi, costumi di Bologna cessati nell’anno 1796. Il suo intento era fondamentalmente storico [...] Lo muoveva l’esigenza [...] di fissare sulla carta il mondo in cui era cresciuto e vissuto fino ai suoi 33 anni [...], mondo che aveva dovuto subire profondi cambiamenti nel ventennio, prima giacobino, poi repubblicano, infine napoleonico, iniziatosi con l’ingresso a Bologna delle truppe rivoluzionarie francesi il 19 giugno 1796» (p. 9).   Nell’edizione a stampa il lavoro congiunto di Guidicini e Ramponi viene definito «Un eccezionale fotoreportage dal passato». Per la sua fondamentale importanza di fonte storica, l’Archiginnasio ha digitalizzato il manoscritto B. 2329, che può essere consultato integralmente online. Questo disegno, dal titolo Esecuzione della Giustizia di Forca, in particolare nel dettaglio macabro del boia e del suo assistente che spingono e tirano verso il basso il corpo appeso per affrettarne la morte, fa pensare ai passi in cui Evangelisti si sofferma sulla crudeltà austriaca nelle esecuzioni capitali. Nel capitolo 11 di Gli anni del coltello si descrive un nuovo metodo di impiccagione:   «Il “paletto” era il modo di impiccare introdotto di recente dagli austriaci. A differenza della forca tradizionale, il condannato non era appeso a una trave parallela al suolo. Il cappio pendeva da un palo e veniva aggiustato al collo della vittima dal boia, salito in cima su una scaletta. Il resto del compito era eseguito dal “tirapiedi”, l’assistente del carnefice. Questi tirava il prigioniero per le caviglie, fino a strangolarlo» (p. 74).   Dalla scena disegnata da Ramponi al paletto descritto da Evangelisti sono passati più di 50 anni, ma la crudeltà con cui i governanti puniscono chi infrange la legge - in entrambi i casi si tratta di impiccagioni di prigionieri “politici” - non è mutata.   Vestiari, usi, costumi di Bologna cessati nell’anno 1796. Raccolti da Giuseppe Guidicini nel MDCCCVIII. Collocazione: BCABo, ms. B. 2329
image de Giuseppe Guidicini e Domenico Ramponi, Orto della Lazzarina
Giuseppe Guidicini e Domenico Ramponi, Orto della Lazzarina
Un altro acquarello che rimanda alle impiccagioni a Bologna, anche se di secoli precedenti a quelli di cui si occupa Evangelisti. Mario Fanti, nella didascalia che accompagna il disegno nell’edizione a stampa del ms. B. 2329, informa che Orto della Lazzarina «Era la denominazione popolare della ringhiera metallica che si trovava, dal secolo XV, nel Palazzo del Podestà, verso la Piazza Maggiore, sostituita nel secolo XVII dalla odierna balaustrata. A tale ringhiera venivano impiccati, fin oltre la metà del Cinquecento, i condannati a morte; la Lazzarina era la moglie di un carnefice [...]» (p. 107).   Vestiari, usi, costumi di Bologna cessati nell’anno 1796. Raccolti da Giuseppe Guidicini nel MDCCCVIII. Collocazione: BCABo, ms. B. 2329
image de Giuseppe Guidicini e Domenico Ramponi, Castigo della tortura ossia della Corda e Condannato alla morte assistito dal Confortatore incamminandosi verso il patibolo
Giuseppe Guidicini e Domenico Ramponi, Castigo della tortura ossia della Corda e Condannato alla morte assistito dal Confortatore incamminandosi verso il patibolo
Prima dell’esecuzione capitale, spesso il prigioniero veniva torturato. Torneremo su questo tema, molto sentito da Evangelisti e presente nei romanzi risorgimentali, ad evidenziare la crudeltà dei governanti, stranieri e non. L’acquerello a sinistra mostra una delle torture più diffuse, quella della sospensione alla corda. A destra invece è ritratto un confortatore che, come dice ancora Fanti, «assiste il condannato e affinché, durante il tragitto verso il patibolo, non guardi la folla degli astanti distogliendo la sua attenzione dai pensieri di rassegnazione e di salvezza eterna, gli mette davanti al viso la “tavoletta”. Questa era un’immagine sacra che i confortatori ponevano sotto gli occhi dei condannati fino al patibolo [...] per impedirgli di vedere ciò che poteva incutergli terrore e disperazione» (p. 101). È possibile vedere il confortatore con la tavoletta anche nella scena dell’impiccagione presentata in precedenza.   Cliccare qui per vedere gli acquarelli a una migliore risoluzione. Vestiari, usi, costumi di Bologna cessati nell’anno 1796. Raccolti da Giuseppe Guidicini nel MDCCCVIII. Collocazione: BCABo, ms. B. 2329
image de Giuseppe Guidicini e Domenico Ramponi, Caporale degli Sbirri e Barigello a cavallo in abito nero
Giuseppe Guidicini e Domenico Ramponi, Caporale degli Sbirri e Barigello a cavallo in abito nero
Una delle cose che unisce i popolani che riempiono le pagine di Gli sbirri alla lanterna e dei romanzi risorgimentali è l’odio per birri, militari e altre forze dell’ordine. I due disegni presentano a sinistra un caporale degli sbirri, a destra il bargello, che ne era il capo. Cliccare qui per vedere i disegni a una migliore risoluzione.   Vestiari, usi, costumi di Bologna cessati nell’anno 1796. Raccolti da Giuseppe Guidicini nel MDCCCVIII. Collocazione: BCABo, ms. B. 2329
image de Giuseppe Guidicini e Domenico Ramponi, Festa di S. Bartolomeo detta della Porchetta
Giuseppe Guidicini e Domenico Ramponi, Festa di S. Bartolomeo detta della Porchetta
La Festa della Porchetta  del 24 agosto era una delle tradizioni bolognesi più conosciute. Evangelisti in Gli sbirri alla lanterna ne sottolinea il carattere violento, una violenza mascherata esercitata dalla nobiltà che «si diverte allo spettacolo della plebe che combatte selvaggiamente per conquistare qualche brandello degli alimenti gettati dal Palazzo pubblico. Di frequente i vincitori si ritrovano in mano poche cartilagini, in cambio di ferite in tutto il corpo e di ustioni per il brodo bollente che gli aristocratici fanno versare sulla folla» (p. 33-34). Cliccare qui per vedere il disegno a una migliore risoluzione.   Vestiari, usi, costumi di Bologna cessati nell’anno 1796. Raccolti da Giuseppe Guidicini nel MDCCCVIII. Collocazione: BCABo, ms. B. 2329
image de Giuseppe Guidicini, Diario bolognese dal 1796 al 1818 (1886-1888)
Giuseppe Guidicini, Diario bolognese dal 1796 al 1818 (1886-1888)
Un’altra fonte spesso citata da Evangelisti in Gli sbirri alla lanterna è il Diario bolognese dal 1796 al 1818, ancora di Giuseppe Guidicini, che in vita non pubblicò nulla ma lasciò importantissimi manoscritti al figlio, che negli anni successivi ne curò la pubblicazione a stampa.   Giuseppe Guidicini, Diario bolognese dall'anno 1796 al 1818 con un cenno cronologico dei governi di Bologna dalla sua fondazione in poi e notizie storiche sulle compagnie religiose e delle arti ecc., 4 voll., Bologna, Societa tipografica già compositori, 1886-1888. Collocazione: 17. C. IV. 15  
image de Giuseppe Guidicini, Cose notabili della città di Bologna (1868-1873)
Giuseppe Guidicini, Cose notabili della città di Bologna (1868-1873)
Un’altra opera di Guidicini, anche questa pubblicata dal figlio Ferdinando. Un lavoro importantissimo in cui si affronta - via per via, piazza per piazza - la storia degli edifici di Bologna, permettendo così di ricostruire la toponomastica e l’odonomastica della città a cavallo fra XVIII e XIX secolo. L’opera, in 5 volumi, è stata interamente trascitta e si trova disponibile sul sito Origine di Bologna. Vie, vicoli, strade, piazze, luoghi di Bologna.    Giuseppe Guidicini, Cose notabili della città di Bologna, ossia Storia cronologica de' suoi stabili sacri, pubblici e privati, 5 voll., Bologna, Tipografia delle Scienze di G. Vitali, 1868-1873. Collocazione: EX CONS. C. 283/1-5
image de Giuseppe Guidicini, Gli schizzi topografici originali per le Cose notabili
Giuseppe Guidicini, Gli schizzi topografici originali per le Cose notabili
Le Cose notabili di Guidicini si basavano su schizzi topografici da lui stesso disegnati, che sono stati pubblicati solo in anni recenti. Ne presentiamo uno per mostrare la cura per il dettaglio con cui l’opera è stata compilata. Si noti in particolare la fig. 442 (cliccare qui per vedere l’immagine a una migliore risoluzione) in cui viene rappresentata, come informa la didascalia, l’evoluzione del tratto stradale oggi rappresentato da via Rizzoli e via Ugo Bassi.   Gli schizzi topografici originali di Giuseppe Guidicini per le cose notabili della città di Bologna, a cura di Mario Fanti, Bologna, A. Forni, 2000. Collocazione: CONS. BIOGRAFIE. 7/24-2
image de Il fondo Carrati
Il fondo Carrati
Evangelisti cita più volte alcuni manoscritti compilati dall’erudito bolognese conte Baldassarre Antonio Maria Carrati e dal padre. L’Archiginnasio possiede un fondo archivistico in cui sono conservate queste opere, che sono compilazioni soprattutto di alberi genealogici, testamenti e battesimi, quindi fonti storiche fondamentali. Per informazioni si consulti la scheda del fondo archivistico Baldassarre Antonio Maria Carrati presente in Fondi nel Web.
image de Pio Panfili, Veduta della Dogana, e Carceri della Città di Bologna  - Disegno
Pio Panfili, Veduta della Dogana, e Carceri della Città di Bologna - Disegno
Abbiamo visto nella prima immagine di questa gallery, introducendo Gli sbirri alla lanterna, come Evangelisti considerasse il quinquennio 1792-1797 lo spartiacque decisivo per l’emergere della plebe come soggetto politico rilevante e, gradualmente, capace di prendere coscienza della propria importanza e di non subire passivamente le angherie dei potenti. Questo mutamento, afferma Evangelisti, lo si nota comparando le fonti letterarie e iconografiche settecentesche, quasi prive di accenni alla plebe, e ottocentesche, in cui invece si trovano costantemente riferimenti alla parte povera della popolazione che vive in quella «illegalità quotidiana» che dà il titolo al primo capitolo di Gli sbirri alla lanterna. In realtà «le piaghe dell’Ottocento non [sono] che un pallido riflesso di quelle settecentesche. Quel che muta da un secolo all’altro non è tanto la realtà (che semmai si evolve in meglio), quanto la sensibilità sociale, a seguito della Rivoluzione francese e delle prime manifestazioni di volontà delle classi subalterne. Per cui divengono d’un tratto percettibili spicchi del reale fino a quel momento ben presenti e tuttavia invisibili [...]» (Gli sbirri alla lanterna, p. 22). Evangelisti riscontra questa mutazione della rappresentazione della realtà felsinea anche comparando alcune vedute della città della seconda metà del Settecento-inizio Ottocento, in particolare i disegni e le incisioni di Pio Panfili, con le Vedute pittoresche della città di Bologna, tratte da quadri a olio di Antonio Basoli e disegnate e incise all’acquatinta dai fratelli dell’autore, Francesco e Luigi, nel 1833. Se nelle incisioni dei fratelli Basoli (che vedremo più avanti) «una frotta di minuscole figure informi e cenciose pare infestare ogni angolo di strada o voltone di palazzo» (p. 20), i lavori di Panfili e altri illustratori settecenteschi «alterando le dimensioni reali degli edifici, propongono scorci maestosi e regolari, entro cui si muovono rarefatte figurine di cittadini e nobili, più qualche popolano colto nel suo versante buffonesco» (p. 21-22). Evangelisti sposa un’interpretazione proposta da Marzia Faietti nell’introduzione al volume Vedute di Bologna nel ’700, secondo la quale Panfili avvertiva «come elementi persino superflui» le «macchiette» che popolano le sue vedute, mentre Basoli disegnando una «folla colorata di mendicanti, storpi, fanciulli rissosi ed altre figurine pittoresche» voleva offrire «il riflesso, sul piano artistico, di una città popolata di mendicanti registrata in guide o appunti di viaggio contemporanei». Mario Fanti ha una posizione leggermente diversa. Anche per lui i personaggi di Panfili possono essere catalogati come «macchiette» (si veda l’introduzione a Disegni editi e inediti di Pio Panfili per le Vedute di Bologna, p. 7), ma hanno comunque lo scopo di rivelare «anche l’altro aspetto di Bologna, quello della vita quotidiana e popolare» (introduzione al volume Bologna nel settecento. Dodici vedute disegnate ed incise da Pio Panfili). Per completezza citiamo anche il terzo volume curato da Fanti in cui vengono stampate vedute di Panfili, in buona parte conservate in Archiginnasio, dal titolo Vedute di Bologna nel secolo XVIII. Cinquantadue incisioni di Pio Panfili e Petronio Dalla Volpe). Il fatto che nei disegni preparatori alle incisioni i personaggi umani non siano praticamente presenti non è segnale di disinteresse, ma semplice questione tecnica: «il Panfili non ha ritenuto opportuno completare questi disegni in tutti i particolari, dato il loro carattere preparatorio» (Lia Bigiavi, Le vedute di Bologna di Pio Panfili, «L’Archiginnasio», LX, 1965, p. 507-518: 511). In questa e nelle prossime immagini proponiamo il confronto fra i disegni e le stampe di due vedute di Panfili scelte fra le 12 di formato maggiore e di cui l’Archiginnasio conserva appunto anche i lavori preparatori alle incisioni, per mostrare quale differenza comporti l’introduzione delle “figurine” nelle vie e nelle piazze bolognesi. In questo disegno le uniche figure umane sono, in basso a destra, quelle che chiacchierano con i prigionieri delle carceri. Si veda nell’immagine successiva come il numero dei personaggi sia molto maggiore nella versione incisa e stampata.   Cliccare qui per vedere l’immagine a una migliore risoluzione. Pio Panfili, Veduta della Dogana, e Carceri della Città di Bologna, disegno. Collocazione: GDS. Cart. Gozz. 43, n. 13
image de Pio Panfili, Veduta della Dogana, e Carceri della Città di Bologna - Incisione
Pio Panfili, Veduta della Dogana, e Carceri della Città di Bologna - Incisione
  Cliccare qui per vedere l’immagine a una migliore risoluzione. Pio Panfili, Veduta della Dogana, e Carceri della Città di Bologna, incisione, 1764. Collocazione: GDS. Goz.3 159/1
image de Pio Panfili, Veduta della Piazza della Fontana, e Palazzo Pubblico della Città di Bologna - Disegno
Pio Panfili, Veduta della Piazza della Fontana, e Palazzo Pubblico della Città di Bologna - Disegno
Anche in questo caso proponiamo il confronto fra il disegno e, nell’immagine successiva, l’incisione di questa veduta, in cui campeggiano quello che oggi è Palazzo D’Accursio e la Fontana del Gigante. Un luogo particolarmente significativo per i giacobini bolognesi di cui Evangelisti racconta le vicende in Gli sbirri alla lanterna, perché «È in questo spazioso perimetro che, tra la fine del ’96 e i primi mesi del ’97, si consumano gli atti decisivi della Bologna repubblicana, destinati a darle nuovo e solido ordinamento» (p. 112).   Cliccare qui per vedere l’immagine a una migliore risoluzione. Pio Panfili, Veduta della Piazza della Fontana, e Palazzo Pubblico della Città di Bologna, disegno. Collocazione: GDS. Cart. Gozz. 43, n. 14
image de Pio Panfili, Veduta della Piazza della Fontana, e Palazzo Pubblico della Città di Bologna - Incisione
Pio Panfili, Veduta della Piazza della Fontana, e Palazzo Pubblico della Città di Bologna - Incisione
  Cliccare qui per vedere l’immagine a una migliore risoluzione. Pio Panfili, Veduta della Piazza della Fontana, e Palazzo Pubblico della Città di Bologna, incisione, 1775. Collocazione: GDS. Goz.3 161/a
image de Fratelli Basoli, Portico nella via Pelacani in Bologna
Fratelli Basoli, Portico nella via Pelacani in Bologna
Presentiamo in questa e nelle immagini successive alcune delle veduta firmate da Basoli e facenti parte della serie Vedute pittoresche della città di Bologna del 1833, conservate presso l’Archiginnasio. Queste vedute sono state stampate in anni recenti nel volume, curato da Marco Poli e Andrea Santucci, Vedute pittoresche di Bologna di Antonio Basoli. 100 immagini della città ottocentesca.   Cliccare qui per vedere l’immagine a una migliore risoluzione. Fratelli Basoli, Portico nella via Pelacani in Bologna, incisione, 1833. Collocazione: 16. b. I 23-3°, n. 3
image de Fratelli Basoli, Piazza della città di Bologna
Fratelli Basoli, Piazza della città di Bologna
  Cliccare qui per vedere l’immagine a una migliore risoluzione. Fratelli Basoli, Piazza della città di Bologna, incisione, 1833. Collocazione: 16. b. I 23-3°, n. 5
image de Fratelli Basoli, Portico detto della Morte in Bologna
Fratelli Basoli, Portico detto della Morte in Bologna
  Cliccare qui per vedere l’immagine a una migliore risoluzione. Fratelli Basoli, Portico detto della Morte in Bologna, incisione, 1833. Collocazione: 16. b. I 23-3°, n. 51
image de Fratelli Basoli, Portico del Palazzo detto del Podestà in Bologna
Fratelli Basoli, Portico del Palazzo detto del Podestà in Bologna
  Cliccare qui per vedere l’immagine a una migliore risoluzione. Fratelli Basoli, Portico del Palazzo detto del Podestà in Bologna, incisione, 1833. Collocazione: 16. b. I 23-3°, n. 65
image de Edmond e Jules de Goncourt, L'Italia di ieri (1944)
Edmond e Jules de Goncourt, L'Italia di ieri (1944)
Fra le fonti che Evangelisti cita in Gli sbirri alla lanterna (p. 19) per esemplificare come l’Ottocento “vedesse” la plebe in misura molto maggiore rispetto al secolo precedente - e che anche Marzia Faietti ricorda nella già citata introduzione a Vedute di Bologna nel ’700 - c’è la testimonianza dei fratelli Edmond e Jules de Goncourt, che percorrono l’Italia nel 1855-56 passando anche da Bologna. Il loro diario di viaggio, pubblicato in italiano solo nel 1944, contiene anche alcuni schizzi realizzati da Jules. Qui è possibile vederne uno che ritrae le due torri. Le pagine dedicate a Bologna dai due scrittori francesi possono essere lette online.   Edmond e Jules de Goncourt, L'Italia di ieri. Note di viaggio 1855-1856, inframezzate dagli schizzi di Jules de Goncourt buttati giù sull'album di viaggio, Milano, Perinetti Casoni, 1944. Collocazione: EVANGELIST. B. 3773
image de Edmond e Jules de Goncourt, L'Italia di ieri (1944)
Edmond e Jules de Goncourt, L'Italia di ieri (1944)
Un altro schizzo di Jules, in cui si vede il Palazzo Pubblico, oggi Palazzo d’Accursio.   Cliccare qui per vedere l’immagine a una migliore risoluzione. Edmond e Jules de Goncourt, L'Italia di ieri. Note di viaggio 1855-1856, inframezzate dagli schizzi di Jules de Goncourt buttati giù sull'album di viaggio, Milano, Perinetti Casoni, 1944. Collocazione: EVANGELIST. B. 3773
image de Giuseppe Bosi, Archivio patrio di antiche e moderne rimembranze felsinee (1853-1859)
Giuseppe Bosi, Archivio patrio di antiche e moderne rimembranze felsinee (1853-1859)
Continuando ad elencare le fonti messe in campo da Evangelisti nelle prime pagine di Gli sbirri alla lanterna dobbiamo citare una poesia dedicata agli “orbini”, musicisti di strada ciechi che si guadagnavano da vivere chiedendo l’elemosina con la loro arte (ci torneremo nell’immagine successiva). La poesia è tratta dall’Archivio di rimembranze antiche e moderne curato e compilato da Giuseppe Bosi, di cui escono quattro volumi fra 1853 e 1859. Dal terzo volume, datato 1857, abbiamo estratto le pagine introduttive, intitolate Bologna veduta a colpo d’occhio, in cui si dà una visione della città «dall’alto, quasi a volo d’uccello» (p. 3), come ad imitare il famoso capitolo di Notre-Dame de Paris intitolato Parigi a volo d’uccello.   Giuseppe Bosi, Archivio patrio di antiche e moderne rimembranze felsinee, 4 voll., Bologna, Tip. Chierici da San Domenico, 1853-1859. Collocazione: 5. S. IV. 49-52
image de Bologna scomparsa, Gli orbini dal saio rosso, questuanti alla porta delle chiese (1896)
Bologna scomparsa, Gli orbini dal saio rosso, questuanti alla porta delle chiese (1896)
Nella raccolta di cartoline Bologna scomparsa (interamente digitalizzata e disponibile online insieme alla serie Bologna antica) ne compare una disegnata da Augusto Majani (Nasica) in cui sono rappresentati due degli “orbini” ricordati da Evangelisti e a cui accennavamo nell’immagine precedente. Un’istituzione bolognese di lunga durata questa Compagnia dei ciechi, con regole e tradizioni proprie, ricordate da Ugo Pesci in un articolo comparso nel 1904 sul periodico «Musica e musicisti. Periodico della città di Milano» che oggi è possibile leggere online. Questa immagine è stata utilizzata nella copertina di Bologna che scompare di Alfredo Testoni, sia nell’edizione del 1905 che in quella riveduta e ampliata del 1930.     Bologna scomparsa - Gli "orbini" del saio rosso questuanti alla porta delle chiese (1896). Collocazione: GDS. Cartoline Bologna 4-010
image de Giuseppe Gioannetti, Agli ex-nobili bolognesi (1796)
Giuseppe Gioannetti, Agli ex-nobili bolognesi (1796)
Per “chiudere i conti” con Gli sbirri alla lanterna non possiamo non citare alune opere di Giuseppe Gioannetti, leader giacobino, vero capopopolo e trascinatore di folle. Molto più incisivo con la parola orale che con quella scritta, è autore fra 1796 e 1797 di «un pugno di opuscoletti a carattere divulgativo» (Gli sbirri alla lanterna, p. 97) fra cui questo (consultabile integralmente online), indirizzato a chi, come lui, con l’instaurazione del regime repubblicano non dovrà più farsi chiamare, e considerarsi, nobile.   Agli ex-nobili bolognesi Giuseppe Gioannetti ex-nobile loro concittadino, Bologna, per le stampe del Sassi, 1796. Collocazione: 17. Scritt. bolognesi. Scienze sociali e Polit. Caps. II, n. 64
image de Giuseppe Gioannetti, Il filosofo di quindici anni (1806)
Giuseppe Gioannetti, Il filosofo di quindici anni (1806)
Gioannetti scrive Il filosofo di 15 anni quasi 10 anni dopo la conclusione della sua “avventura giacobina”, conclusasi con l’arresto, il processo e una liberazione tutto sommato veloce. L’opera, come si può vedere dalle pagine introduttive, avrebbe dovuto avere un’ampiezza ben superiore a quella effettivamente pubblicata. Interessante vedere come queste pagine indichino aspetti commerciali e produttivi dell’opera, oltre che un richiamo al diritto d’autore.   Giuseppe Gioannetti, Il filosofo di quindici anni ossia novissimo metodo famigliare, facile, e dilettevole di fanciullesca educazione opera semi-enciclopedica teorico-pratica scritta da Giuseppe Gioannetti Virgili Pannolini bolognese ... per uso de' suoi figliuoletti, 2 voll., Milano, dalla tipografia di Francesco Pirola del fu Gaetano nella contrada del Monte Napoleone num. 1246, 1806. Collocazione: 17. U. VI. 21-22
image de Giuseppe Gambari, Alli giudici ... difese del cittadino Giuseppe Gioannetti (1797)
Giuseppe Gambari, Alli giudici ... difese del cittadino Giuseppe Gioannetti (1797)
L’opuscolo contiene la difesa di Gioannetti e soci - arrestati il 25 giugno 1797 per «cospirazione contro la sicurezza interna» - sostenuta dall’avvocato Giuseppe Gambari in quello che Evangelisti in Gli sbirri alla lanterna definisce «un memorabile processo» (p. 157).   Giuseppe Gambari, Alli giudici del Tribunale di revisione in Reggio difese del cittadino Giuseppe Gioannetti e degli altri consocj in causa accusati nel Tribunale Criminale del Reno di cospirazione contro la sicurezza interna della Repubblica e di delitti perturbanti la pubblica quiete, e d'altri, Bologna, nella stamperia di Jacopo Marsigli ai Celestini, anno VI. Rep. [1797]. Collocazione: 17. Opuscoli politici (serie speciale). Cart. Dc 12, n. 8
image de Sentenza contro un gruppo di Carbonari di Pesaro (1826)
Sentenza contro un gruppo di Carbonari di Pesaro (1826)
Sia Folco Verardi che Gabariol, protagonisti di 1849. I guerrieri della libertà e Gli anni del coltello, hanno un passato di Carbonari che viene periodicamente ricordato. In questa sentenza (qui leggibile a una migliore risoluzione) emessa a Pesaro nel 1826 contro un gruppo di affiliati alla Carboneria si nota che i protagonisti sono per «la maggior parte di origine plebea».   La Commissione speciale per le quattro legazioni e per la delegazione d'Urbino e Pesaro sedente in Faenza nella sessione dei 7 giugno 1826 [i.e. 1827] pronunciò la seguente sentenza, [Faenza], dalla tipografia Montanari e Marabini, [1827?]. Collocazione: MALVEZZI 138/46
image de La Giovine Italia (1831)
La Giovine Italia (1831)
Nella nostra marcia di avvicinamento a Gli anni del coltello è venuto il momento di introdurre Giuseppe Mazzini, che rimarrà il punto di riferimento politico di Gabariol anche quando le numerose sconfitte subite susciteranno sempre più dubbi persino fra i suoi stessi seguaci. Nel documento che presentiamo (qui consultabile integralmente) il nome di Mazzini non compare, sostituito dalla firma UN’ITALIANO [sic]. L’opuscolo, stampato a Marsiglia in quanto nel 1831 Mazzini è già esule, illustra i principi guida e gli intenti di un nuovo periodico che sarà presto stampato e messo in vendita col titolo «La Giovine Italia». La rivista viene pubblicata dal 1832 al 1834, per un totale di sei numeri.   Giuseppe Mzzini, La Giovine Italia. Serie di scritti intorno alla condizione politica, morale, e letteraria della Italia, tendenti alla sua rigenerazione, Marsiglia, Tip. di Durfort, 1831. Collocazione: 5. Storia contemporanea. Cart. F5, 40
image de Mazzini, Kossuth, Ledru-Rollin
Mazzini, Kossuth, Ledru-Rollin
Mazzini è qui ritratto insieme all’ungherese Lajos Kossuth e al francese Alexandre-Auguste Ledru detto Ledru-Rollin, che con lui, nell’esilio londinese, formarono il comitato democratico europeo. Ledru-Rollin viene citato in 1849. I guerrieri della libertà, mentre Kossuth compare più volte in Gli anni del coltello evocato dal caporale ribelle ungherese Mattias, il cui cognome è un impronunciabile «coacervo di consonanti» (p. 54).   Giuseppe Mazzini, Laios Kossuth, Ledru-Rollin. Collocazione: GDS. Raccolta dei ritratti M, n. 142 
image de Lettera di Giuseppe Mazzini alla Società Operaia di Bologna (1861)
Lettera di Giuseppe Mazzini alla Società Operaia di Bologna (1861)
Gli anni del coltello mostra in più occasioni come Mazzini, esule in Inghilterra, comunica con i suoi seguaci in Italia: messaggi personali inviati segretamente, proclami stampati e diffusi clandestinamente, comunicazioni su giornali a lui favorevoli. Questa lettera (qui consultabile a una migliore risoluzione), datata 27 agosto 1861, è indirizzata alla Società Operaia di Bologna, che a sua volta la trasmette «All‘onorevole direzione del giortale [sic] Il Diritto - Torino» chiedendone la pubblicazione nel numero successivo.   Lettera di Giuseppe Mazzini alla Società operaia di Bologna, Bologna, Tipi del progresso, [1861?]. Collocazione: 32. E. 335
image de Cronica di Bologna. Fatti occorsi nell'agosto del 1848 raccolti da un veterano (1848)
Cronica di Bologna. Fatti occorsi nell'agosto del 1848 raccolti da un veterano (1848)
Il primo romanzo risorgimentale di Evangelisti, 1849. I guerrieri della libertà, si apre a Roma nel settembre 1848, quindi circa un mese dopo che si è verificato l’episodio forse più famoso del risorgimento bolognese, la battaglia della Montagnola dell’8 agosto di quello stesso anno. L’episodio viene ricordato proprio nelle prime pagine del romanzo, quando si dice che gli austriaci «erano stati respinti a Bologna dal popolo armato» (p. 21). La battaglia della Montagnola è infatti prevalentemente una battaglia di quella stessa plebe di cui Evangelisti aveva parlato in Gli sbirri alla lanterna. Aldo Berselli nell’articolo I mazziniani a Bologna dall’8 maggio 1849 al 6 febbraio 1853 cita diverse fonti storiografiche in cui viene sottolineato il fatto che nel periodo successivo all’8 agosto il popolo si era lasciato andare a vendette ed eccessi che invece la parte più moderata dei rivoluzionari, appartenenti alla borghesia o all’aristocrazia “illuminata”, aveva cercato di frenare (p. 3-4). Inutile aggiungere che la “simpatia” di Evangelisti va tutta alla parte più plebea del movimento rivoluzionario, spesso presente nelle fonti storiografiche ufficiali solo nelle vesti appena descritte di vendicatori violenti e crudeli.  In questo opuscolo (qui consultabile integralmente) vengono descritti, da uno dei combattenti, i fatti dei giorni precedenti e immediatamente successivi alla battaglia della Montagnola.   Cronica di Bologna. Fatti occorsi nell'agosto del 1848 raccolti da un veterano, Bologna, Tip. Sassi nelle Spaderie, [dopo l'agosto 1848]. Collocazione: 17-Civ.Pol. Memorie Bol. A 02, 040
image de Cartolina del Monumento ai caduti dell'VIII agosto 1848
Cartolina del Monumento ai caduti dell'VIII agosto 1848
Bologna - Monumento ai caduti dell'VIII agosto 1848 inaugurato il 20 Settembre 1903 dello scultore Pasquale Rizzoli, cartolina postale, 1903. Collocazione: GDS. Raccolta Parmeggiani, n. 178  
image de Bologna scomparsa, Il bulo e la bula (1840) e Al Pulisman (guardia municipale) (1868)
Bologna scomparsa, Il bulo e la bula (1840) e Al Pulisman (guardia municipale) (1868)
Fra i popolani in prima linea nella Battaglia dell’8 agosto ci furono i facchini, che saranno protagonisti della vita bolognese per tutto il XIX secolo. Così li descrive Alfredo testoni in Bologna che scompare:   «I facchini, allora, divisi nelle così dette balle, erano una potenza a Bologna. Scamiciati, con un cerchio d’ottone al braccio, sdraiati per terra al sole o seduti attorno a una catasta di legna, che accendevano in mezzo alle vie per cuocere saracche e abbrustolire polenta, nei giorni di festa diventavano buli, appartenenti alla bâla ròssa. Portavano calzoni di velluto color marrone, il giacchetto di panno bleu adorno di bottoni dorati, una fascia rossa in cintura, il fazzoletto di seta al collo, le anella d’oro alle orecchie, il bastoncino di bambou fra le mani e il cappello alto di feltro color nocciola detto èl ratt. Erano sbarbati e solo sotto il labbro inferiore si lasciavano crescere un fiocchetto di barba, chiamato mosca, e due lunghi ricci cadenti sulle guancie. Le bule, quasi tutte lavandaie, fabbricanti di corda ed operaie delle filande di seta, portavano i neri e lucidi capelli divisi da una parte in modo da formare sulla fronte un alto ciuffo, detto popla, e raccolti di dietro in treccie messe a nastro fatte fino di venticinque e trenta capi. Avevano sottane cortissime; quella di sopra era a vivi colori e aperta sul davanti in modo da far vedere la bianca mussolina di sotto. Calzavano stivalini a tacco alto, detti pulacchein, sulle spalle portavano uno scialle di crèpon bianco trattenuto sulla nuca da un alto pettine, avevano anelli alle dita, collane di granate al collo e lunghi pendenti alle orecchie» (p. 127-128).   Abbiamo già parlato dell’odio del popolo verso i rappresentanti delle forze dell’ordine. Ancora Testoni ce lo racconta partendo dal caratteristico copricapo tanto amato dai buli e dai bolognesi tutti e comparso a un certo punto sulla testa dei policemen:   «E chi sa come il maestro Tauber [definito poche righe prima come colui che “rappresenta al vivo Bologna che scompare”, n.d.r.] si sentì addolorato allorché vide la forma del suo cappello prediletto sulla testa delle guardie di città! Quando, infatti, apparve per le vie di Bologna il primo policeman, fu uno scoppio di indignazione e di risa. Il popolino salutò coi più disparati titoli il severo rappresentante della polizia urbana: i caricaturisti se ne impossessarono per riprodurne la macchietta nel Diavolo zoppo, che era il giornale umoristico d’allora, mentre verseggiatori in vernacolo lo tartassavano nelle zerudelle. [...] Ed era naturale questo senso di comune dispiacere nel vedere che il cappello alto fosse andato a finire sulla testa del policeman, giacché quel cappello ha sempre avuto a Bologna una grande importanza, tanto presso l’aristocratico quanto presso il plebeo; e, infatti anche il popolino lo portò fino al momento in cui un tipo caratteristico nostro, il bulo, finì per diventare un oggetto da museo» (p. 10-11).   Le cartoline postali che qui presentiamo, conservate dall’Archiginnasio, sono state utilizzate per illustrare i passi citati nel libro di Testoni.   Bologna scomparsa - Costumi popolari: Il bulo e la bula (1840), cartolina postale. Collocazione: GDS. Cartoline Bologna 4-005   Bologna scomparsa - "Al pulisman" (guardia municipale) 1868, cartolina postale. Collocazione: GDS. Cartoline Bologna 4-016
image de Pio IX - Il caso Mortara
Pio IX - Il caso Mortara
Siamo giunti a Roma e agli anni di quell’esperimento rivoluzionario che fu la Repubblica romana, ritenuto da Evangelisti «un evento fondamentale, per non dire fondativo, del percorso verso l’unità nazionale» (V. Evangelisti, La verità su Babette di Interlaken, vergine comunista, in Id., Controinsurrezione, p. 81-86: 81-82). Dal 1846 “regna” sulla città Pio IX, l’ultimo papa-re: morirà nel 1878, ben dopo la presa della città da parte del Regno d’Italia. L’Archiginnasio ha da poco realizzato una mostra online - che ha avuto anche una sua versione “fisica” intitolata “Il ratto del fanciullo”. Il caso Mortara e la Bologna pintificia nei documenti dell’Archiginnasio dal 22 maggio al 1° luglio 2023 - in cui si ricostruisce un caso che vide protagonista questo papa, il “rapimento” del piccolo Edgardo Mortara, sottratto alla famiglia dalla Chiesa nel 1858 perché battezzato “clandestinamente” da una domestica. Il caso è recentemente tornato alla ribalta grazie all’uscita del film Rapito di Marco Bellocchio. Nella mostra Il caso Mortara gli eventi vengono raccontati attraverso documenti librari, archivistici e iconografici conservati in Archiginnasio, mettendo in luce come l’eco suscitata dall’episodio a livello mondiale fu in gran parte dovuta proprio alla particolare congiuntura politica in cui si verificò. Sono infatti gli anni in cui hanno luogo eventi decisivi per l’unita d’Italia e la fine del potere temporale dei papi.
image de Tommaso Tommasoni, Padron Angelo Brunetti detto Ciciruacchio (1847)
Tommaso Tommasoni, Padron Angelo Brunetti detto Ciciruacchio (1847)
Già 10 anni prima del caso Mortara Roma era una polveriera, anche se Pio IX era ancora visto, a seguito di alcune decisioni prese nei primi anni del suo pontificato, come un papa in cui si potesse avere fiducia. Su questo scenario si apre 1849. I guerrieri della libertà. Fra i personaggi più curiosi del mondo romano ha sicuramente un posto d’onore Angelo Brunetti, detto Ciceruacchio, così descritto da uno dei personaggi del romanzo:   «“Oh, un bel soggetto. Il capo riconosciuto della plebe romana. Fa da mediatore nelle risse, dialoga con la nobiltà, presiede feste e cortei. Ma ecco che entra il suo figlio maggiore, Luigi Brunetti detto Giggi. Domanda a lui, che per il padre ha una venerazione”. “Ciceruacchio cosa vuol dire?” “È la parte migliore della salsiccia, credo. Zitto. Vedo Giggi fuori di sé”» (p. 13).   Ciceruacchio è citato anche in Gli anni del coltello, quando Gabariol apprende della sua morte, «messo al muro assieme al figlio tredicenne» (p. 19). Un gesto d’infamia, quello dell’uccisione di un ragazzo così giovane, intollerabile anche per uno come Gabariol, avvezzo alla violenza subita e compiuta. In questa immagine vediamo un ritratto di Ciceruacchio che sta a fianco del frontespizio di una biografia di questo personaggio datata 1847, a testimonianza di come già prima degli eventi decisivi del 1849 egli fosse una personalità quasi leggendaria.   Tommaso Tommasoni, Padron Angelo Brunetti detto Ciciruacchio popolano di Roma. Schizzo biografico, Bologna, Tipografia di Giuseppe Tiocchi, 1847. Collocazione: 5. Biogr. ed elogi. Caps. B6, 59.
image de Raffaello Giovagnoli, Ciceruacchio e don Pirlone (1894)
Raffaello Giovagnoli, Ciceruacchio e don Pirlone (1894)
Presentiamo questo frontespizio perché ci permette di rincontrare un autore che già abbiamo conosciuto nella trilogia Il Sole dell’Avvenire, Raffaello Giovagnoli, autore del romanzo storico Spartaco su cui Canzio Verardi forma la sua coscienza rivoluzionaria. Inoltre questo volume - scritto quasi 50 anni dopo i fatti - introduce un altro protagonista della Repubblica romana, questa volta non una persona ma un periodico umoristico, «Il Don Pirlone». Molti giornali simili nascono in questi anni, creando in breve tempo una tradizione di stampa satirico-politica - spesso anticlericale - che ancora ci rimanda a esempi bolognesi conosciuti nella trilogia prima citata: «Il Papagallo», «L’Asino» e il suo contraltare «Il Mulo». Del «Don Pirlone» vedremo alcune pagine nelle prossime immagini, qui aggiungiamo solo che Evangelisti in 1849. I guerrieri della libertà spiega anche che il pirlone è «il classico cappellone dalle tese rialzate» (p. 23) portato dai sacerdoti al tempo. La trattazione degli eventi nel libro di Giovagnoli non è completa in quanto l’autore, come dichiara nella postfazione, intendeva scrivere un secondo volume che però, molto probabilmente, non è stato pubblicato.   Raffaello Giovagnoli, Ciceruacchio e Don Pirlone. Ricordi storici della rivoluzione romana dal 1846 al 1849 con documenti nuovi, vol. 1, Roma, Forzani e C. tipografi del Senato, 1894. Collocazione: VENTURINI A. 97 / 1 Il volume è consultabile integralmente online. 
image de Il Don Pirlone, 01 settembre 1848
Il Don Pirlone, 01 settembre 1848
Il primo numero de «Il Don Pirlone», il cui titolo richiama una maschera satirica del carnevale romano, esce il 1° settembre 1848 e qui se ne può vedere la prima pagina a una migliore risoluzione. Il periodico ha vita breve e cessa le pubblicazioni già nel luglio 1849. Tutti numeri sono consultabili integralmente online. All’inizio di 1849. I guerrieri della libertà Folco Verardi finisce «alla sommità di via del Corso, all’angolo di piazza Colonna» dove ha «sede il “Don Pirlone”, giornale satirico progressista acquistabile solo in redazione o per abbonamento. Fondato quello stesso mese, offriva una vignetta in copertina e una litografia - quasi sempre pregevole - nel paginone centrale, oltre ad articoletti al vetriolo, feroci contro il partito reazionario» (p. 17-18). In realtà la vignetta della prima pagina è la decorazione della testata, che muta tre volte durante la breve vita del giornale. Andiamo a vedere nelle prossime immagini alcuni esempi dei paginoni centrali, il cui autore - probabilmente lo stesso per tutti i numeri - non è stato identificato con certezza. Per le informazioni sul giornale si vedano gli scritti raccolti in La satira restaurata. Disegni del 1848 per il Don Pirlone. Roma, Museo centrale del Risorgimento, Ala Brasini, 2 giugno-16 ottobre 2005, a cura di Marco Pizzo.   «Il Don Pirlone. Giornale di caricature politiche», 01 settembre 1848. Collocazione: VENTURINI PC. 25
image de Il Don Pirlone, 15 settembre 1848
Il Don Pirlone, 15 settembre 1848
In questa vignetta un cameriere serve in tavola un vassoio su cui si riconoscono chiaramente la Garisenda e la Torre degli Asinelli. La didascalia recita: «“W... E quel controno di Patate?” “Magnifico Maresciallo!!!”». Ci aiuta nell’interpretazione della battuta satirica - spesso non semplice da cogliere se non si è a conoscenza in maniera dettagliata degli eventi romani di quei giorni - la già citata pubblicazione La satira restaurata. Disegni del 1848 per il “Don Pirlone”, nella cui introduzione il curatore Marco Pizzo (che ringraziamo per le ulteriori informazioni forniteci via mail) presenta alcuni dei disegni preparatori per le litografie dei paginoni centrali. Il disegno su cui si basa questa vignetta si trova a p. XII e reca una didascalia più lunga. Ma a offrire una interpretazione chiara è il commento (ugualmente riportato alla pagina citata) che accompagnava la vignetta nel catalogo realizzato in occasione di un’esposizione di questi disegni allestita nel 1949: «Caricatura contro i commissari pontifici che banchettano col generale Welden, assalitore di Bologna». Si tratta quindi di un riferimento agli eventi bolognesi dell’agosto 1848 precedentemente citati, in cui il maresciallo austriaco Welden era stato sconfitto ed aveva dovuto ritirarsi dalla città. I commissari pontifici che banchettano con lui sono naturalmente criticati in quanto tessono trame con lo straniero.    «Il Don Pirlone. Giornale di caricature politiche», 15 settembre 1848. Collocazione: VENTURINI PC. 25
image de Il Don Pirlone, 18 settembre 1848
Il Don Pirlone, 18 settembre 1848
La vignetta mostra, a sinistra, il ministro Pellegrino Rossi, odiato dal popolo romano che vede nel crescere del suo potere il rischio di una dittatura. Molti ritengono che lo stesso Pio IX, in cui come visto prima si ha ancora parzialmente fiducia, sia ingannato dal ministro. In 1849. I guerrieri della libertà (capitolo 2, p. 18) Evangelisti racconta che nel numero del «Don Pirlone» appena acquistato da uno dei personaggi viene preso di mira Pellegrino Rossi, che compare spesso in queste vignette satiriche. Nulla vieta di pensare che nel romanzo Folco e i suoi compari stiano osservando proprio questa vignetta. In quello stesso passo si afferma con preoccupazione che Rossi, oltre a essere capo del governo, reggerà due o tre ministeri. All’inizio del capitolo 4, intitolato significativamente Il sapiente dittatore, Evangelisti specifica che «Rossi aveva accentrato su di sé ben tre ministeri (Interno, Finanze e Polizia), mentre gli altri sette dicasteri erano stati affidati ad autentiche nullità, capaci di obbedire ma non di promuovere alcunché» (p. 27). In questa vignetta, nel foglio che Rossi tiene in mano, si possono leggere proprio le parole INTERNO, POLIZIA, FINANZE. Il capitolo 6, Attentato, si apre con la frase: «Chissà se Pellegrino Rossi percepiva l’odio crescente che lo circondava e capiva che le caricature del “Don Pirlone” erano espressione di un’avversione cittadina» e si chiude con l’atto finale di questo odio, l’uccisione del ministro aspirante ditattore da parte, probabilmente, di Giggi Brunetti, figlio di Ciceruacchio, che «gli conficcò un pugnale nel collo, fino all’elsa. Strappata l’arma, dalla ferita scaturì un fiotto di sangue, potente quanto uno spruzzo» (p. 42). Entra in scena il pugnale, protagonista di tante uccisioni e di una vera e propria filosofia rivoluzionaria più volte espressa da Gabariol in Gli anni del coltello.   «Il Don Pirlone. Giornale di caricature politiche», 18 settembre 1848. Collocazione: VENTURINI PC. 25
image de Il Don Pirlone, 17 novembre 1848
Il Don Pirlone, 17 novembre 1848
L’uso che Evangelisti fa delle vignette presenti nel «Don Pirlone» è piuttosto interessante per riflettere sull’uso dei documenti storici all’interno di una narrazione. In una scena del capitolo 8 di 1849. I guerrieri della libertà Folco Verardi si sveglia ed esce per andare a comprare questo giornale: «Raggiunse la sede del “Don Pirlone” e ne acquistò il numero appena uscito. La stampa centrale raffigurava lo scheletro di Pellegrino Rossi, appena sceso dalla carrozza, adagiato alla base della scalinata della Cancelleria». Si sta raccontando la mattina del 17 novembre, la datazione è facile visto che si tratta del giorno successivo alla rivolta del 16 novembre seguita all’uccisione del Ministro avvenuta il giorno precedente. Il romanzo ha appena descritto quel giorno di rivolta e il giornale stesso lo racconterà con quattro vignette, per una volta non satiriche ma quasi documentarie, uscite nei giorni successivi. Ci si aspetta quindi che sul numero del «Don Pirlone» del 17 novembre 1848 compaia l’illustrazione descritta da Evangelisti nel romanzo. Invece in quel fascicolo n. 62 datato 17 novembre compare la vignetta che vediamo qui presentata in cui, come apprendiamo da un documento desunto da un manoscritto del tempo (p. 6), «L’Imperatore d’Austria viene abbracciato dai suoi Generali Jellaehieh e Windischgrâtz» e che quindi non corrisponde per niente a quella descritta nel passo citato. Di più: in nessun numero del giornale, anche dei giorni successivi, compare una vignetta con lo scheletro di Pellegrino Rossi vicino a una carrozza ai piedi di una scalinata. La morte di Rossi anzi non è mai rappresentata nelle vignette. La vignetta descritta da Evangelisti però esiste veramente e la vediamo nella prossima immagine.   Cliccare qui per vedere l’immagine a una migliore risoluzione. «Il Don Pirlone. Giornale di caricature politiche», 17 novembre 1848. Collocazione: VENTURINI PC. 25
image de Don Pirlone a Roma - L'ora fatale per Pellegrino Rossi
Don Pirlone a Roma - L'ora fatale per Pellegrino Rossi
In realtà questa vignetta assomiglia a quella descritta da Evangelisti, ma non è uguale. Non c’è lo scheletro di Rossi adagiato alla base della scalinata, ma c’è uno scheletro che trasporta il corpo di Rossi, ancora vivo, ma circondato da segnali di morte e per il quale sta chiaramente per scoccare «L’ora fatale», come recita la didascalia. Ci sono però sufficienti elementi per ritenere con una certa sicurezza che Evangelisti stia facendo riferimento a questa immagine: il Ministro e uno scheletro, la scalinata della Cancelleria (cioè appunto del Consiglio dei Deputati come scritto sul muro), la carrozza. D’altra parte, dove andare a “pescare” quest’immagine lo suggerisce lo stesso scrittore quando nella bibliografia ragionata che chiude il romanzo scrive: «Di Michelangelo Pinto, Don Pirlone a Roma. Memorie di un italiano dal 1° settembre 1848 al 31 dicembre 1850, 2 voll., Tip. Alessandro Fontana, Torino 1850, ho utilizato alcune caricature, che ho descritto» (p. 244). Michelangelo Pinto (sul quale si veda Mario Marino, L’Archivio Pinto del Museo Centrale del Risorgimento, nel già citato La satira restaurata, p. 19-39) fu un politico molto attivo all’interno della Repubblica romana e, soprattutto, uno dei fondatori del «Don Pirlone». Alla caduta della Repubblica dovette riparare in esilio a Torino dove scrisse e pubblicò l’opera in tre volumi citata da Evangelisti in bibliografia, che altro non è che una narrazione della nascita, vita e dissoluzione del governo repubblicano nell’Urbe. Narrazione compiuta con le parole ma anche con frequenti vignette poste ad illustrazione del testo: la stessa formula del «Don Pirlone» - ma con un taglio che rinuncia quasi del tutto all’ironia e al sarcasmo per votarsi alla documentazione memorialistica - che non a caso veniva citato anche nel titolo dell’opera. Nel primo volume troviamo l’immagine che Evangelisti cita nel romanzo (è la tav. XL), ad illustrare la morte di Pellegrino Rossi che chiude il capitolo IV. Online è possibile leggere l’introduzione al Don Pirlone a Roma e le pagine che precedono e seguono questa tavola: si può notare, fra le altre cose, che l’uccisione di Rossi è descritta, all’inizio del capitolo V, in maniera molto simile a come lo scrittore la racconta nel romanzo. Quindi, perché Evangelisti nel romanzo sceglie di descrivere questa vignetta e non quella realmente uscita sul fascicolo del 17 novembre che Folco acquista? Di sicuro non si tratta di una svista: mettendo Don Pirlone a Roma in bibliografia dimostra di conoscere l’opera e quindi di sapere che quelle vignette non sono le stesse uscite sul giornale. Possiamo pensare che Evangelisti non avesse accesso al «Don Pirlone» e che quindi dovesse “accontentarsi” dell’opera di Pinto? Non abbiamo certezze. Come già detto, oggi i numeri della rivista si trovano online, ma non sappiamo da quanto tempo siano disponibili. D’altra parte però il giornale è presente integralmente sia in Archiginnasio che alla Biblioteca Universitaria di Bologna (oltre che in altre biblioteche italiane) e quindi di facile consultazione. Non se ne può avere la certezza, ma sembra estremamente probabile che Evangelisti scelga volontariamente di “distorcere” leggermente la realtà storica, mettendo sul «Don Pirlone» del 1848 una vignetta pubblicata due anni dopo. Anche sui motivi di questa scelta possiamo interrogarci senza l’ambizione di raggiungere granitiche certezze, ma se si interroga il romanzo è ben chiaro che l’uccisione di Pellegrino Rossi è l’evento decisivo di quel segmento della narrazione, la scintilla che poi conduce alla rivolta del 16 novembre e che mette in moto la parte conclusiva del processo che porterà alla proclamazione del governo repubblicano, che si avvantaggerà proprio del vuoto di potere seguito alla morte del Ministro plenipotenziario. Porre a quel punto quella vignetta non fa altro che ribadire l’importanza simbolica e concreta di quell’omicidio, a cui fra l’altro i protagonisti del racconto prendono parte. Che il romanzo storico sia l’esempio maggiore dei «componimenti misti di storia e d‘invenzione» lo ha spiegato Manzoni e quindi non ci sorprendiamo che anche Evangelisti, quando necessario al suo racconto, ricerchi la verosimiglianza più che la verità storica (e in questo potrebbe rientrare anche la discrepanza esistente tra la descrizione della vignetta dello scheletro fatta da Evangelisti e la vignetta stessa). Il caso descritto però è curioso e interessante dal nostro punto di vista perché esemplifica come sia possibile “smascherare” questa “manipolazione” delle fonti attraverso un’indagine accurata sulle stesse e sulla loro reperibilità, in seguito alla quale è possibile interrogarsi sulle motivazioni che hanno condotto lo scrittore a fare questa scelta. In questo modo e accumulando altri esempi - non è questa la sede per farlo e soprattutto per spingere l’analisi a un livello più strettamente “letterario” - è forse possibile mettere in luce qualche aspetto del lavoro di un autore, soprattutto di uno scrittore come Evangelisti, che altrimenti rimarrebbe non colto.   Cliccare qui per vedere l’immagine a una migliore risoluzione. Michelangelo Pinto, Don Pirlone a Roma. Memorie di un italiano dal 1° settembre 1848 al 31 dicembre 1850, 3 voll., 2. ed. ma rist., Torino, Stab. tip. di A. Fontana, 1850. Collocazione: VENTURINI C. 76 / 1-3
image de Giuseppe Mazzini, La Repubblica romana del 1849 (1876)
Giuseppe Mazzini, La Repubblica romana del 1849 (1876)
Frontespizio di un volume postumo in cui lo stesso Mazzini ricorda gli eventi della Repubblica romana. L’indicazione di seconda edizione non è corretta. Il libro infatti, come avverte la prefazione, riporta le note autobiografiche inserite da Mazzini nel settimo volume delle sue opere relativamente al periodo compreso fra la proclamazione della Repubblica romana e la sua caduta (9 febbraio-2 luglio 1849).   Giuseppe Mazzini, La Repubblica romana del 1849. Memorie di G. Mazzini, 2. ed., Roma, per cura della Commissione per la pubblicazione delle opere di G. Mazzini, 1876. Collocazione: SORBELLI. C. 2 op. 3
image de Alexandre Troubetzkoy, Campagnes du feldmaréchal comte Radetzky dans le nord de l'Italie en 1848-49 (1854)
Alexandre Troubetzkoy, Campagnes du feldmaréchal comte Radetzky dans le nord de l'Italie en 1848-49 (1854)
Josef Radetzky viene ricordato più volte in entrambi i romanzi che stiamo ripercorrendo. In Archiginnasio è presente un volume - pubblicato nel 1854, quindi quando ci si trova ancora pienamente all’interno degli avvenimenti bellici che porteranno all’unità d’Italia - che ripercorre le campagne militari condotte dal Maresciallo austriaco nel Nord Italia. Il volume è corredato da tavole e mappe. In questa tavola (qui visibile a una migliore risoluzione) è possibile vedere nel dettaglio la composizione dell’esercito austriaco presente in Italia nel marzo 1848. Il titolo della tavole è: Armée Imperiale autrichienne en Italie en Mars 1848.   [Alexandre Troubetzkoy], Campagnes du feldmaréchal comte Radetzky dans le nord de l'Italie en 1848-49, par un ancien officier supérieur des gardes impériales russes, Paris, Furne et C., 1854. Collocazione: VENTURINI B. 852
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Alexandre Troubetzkoy, Campagnes du feldmaréchal comte Radetzky dans le nord de l'Italie en 1848-49 (1854)
Retraite des Autrichiens et marche de l’armée royale sarde en Mars 1848.   Cliccare qui per vedere l’immagine a una migliore risoluzione. [Alexandre Troubetzkoy], Campagnes du feldmaréchal comte Radetzky dans le nord de l'Italie en 1848-49, par un ancien officier supérieur des gardes impériales russes, Paris, Furne et C., 1854. Collocazione: VENTURINI B. 852
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Alexandre Troubetzkoy, Campagnes du feldmaréchal comte Radetzky dans le nord de l'Italie en 1848-49 (1854)
Combat de Pastrengo - 30 Avril 1848   Cliccare qui per vedere l’immagine a una migliore risoluzione. [Alexandre Troubetzkoy], Campagnes du feldmaréchal comte Radetzky dans le nord de l'Italie en 1848-49, par un ancien officier supérieur des gardes impériales russes, Paris, Furne et C., 1854. Collocazione: VENTURINI B. 852
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Alexandre Troubetzkoy, Campagnes du feldmaréchal comte Radetzky dans le nord de l'Italie en 1848-49 (1854)
Combat de Milan - 4 Août 1848   Cliccare qui per vedere l’immagine a una migliore risoluzione. [Alexandre Troubetzkoy], Campagnes du feldmaréchal comte Radetzky dans le nord de l'Italie en 1848-49, par un ancien officier supérieur des gardes impériales russes, Paris, Furne et C., 1854. Collocazione: VENTURINI B. 852
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Il Passatore
Apriamo una rassegna di ritratti e opere di alcuni dei tanti personaggi storici che in Gli anni del coltello vengono citati o, più spesso, incrociano la propria strada con quella di Gabariol. Il primo non è, come praticamente tutti gli altri, un patriota ma un bandito. Si tratta di Stefano Pelloni detto il Passatore, leggendario brigante romagnolo. A p. 49 del romanzo ne viene comunicata a Gabariol la morte, mentre poco prima, nel dialogo fra il nostro protagonista in fuga da Roma e un oste reazionario di Foligno, era stata stabilita un’equazione fra il Passatore e Giuseppe Garibaldi. L’oste spiega i motivi dell’assenza di clienti nel suo locale, usuale crocevia di passaggio per la Romagna:   «“I briganti. Si ha paura di Garibaldi e del suo esercito di sbandati. Sequestrano ogni animale, rapinano i municipi in cui mettono piede. Inoltre, a nord, imperversa la banda di Stefano Pelloni, detto il Passatore. La più crudele e audace mai vista. Fermano le carrozze, derubano i passeggeri, torturano e uccidono come se niente fosse. Un altro dei regali che ci ha fatto questo schifo di repubblica”. “Il Passatore è repubblicano?” domandò Gabariol. Aveva letto di quel bandito, dal viso deturpato da antiche ustioni, temuto per la sua spaventosa ferocia. “No, per niente. Approfitta dell’anarchia che è seguita alla fuga del santo padre per rubare e arricchirsi. Per fortuna ci sono gli austriaci, e prima o poi gli faranno la festa [...]”» (p. 19).   Passatore (Stefano Pelloni), fotografia. Collocazione: GDS. Collezione dei Ritratti, cart. 45, fasc. 59, n. 1
image de Federico Comandini, Cospirazioni di Romagna e Bologna (1899)
Federico Comandini, Cospirazioni di Romagna e Bologna (1899)
Gabariol incontra Federico Comandini a Faenza nel terzo capitolo di Gli anni del coltello, intitolato Le Macchie. Comandini, che nel 1899 scriverà questo resoconto delle cospirazioni avvenute nelle terre emiliane e romagnole, lo ospita per una notte. I due però non possono andare d’accordo, troppo moderato il faentino. Gabariol già il mattino successivo va in cerca degli esponenti più violenti delle Macchie e incontra Giovanni Pianori, che è in procinto di emigrare per sfuggire alla giustizia. Pianori ritorna periodicamente nel romanzo, comparendo sempre in maniera “clandestina” e sorprendente. Nell’ultima pagina esce dall’ombra in cui si è nascosto e convince Gabariol ad abbandonare la tranquilla vita di famiglia abbracciata insieme a Marietta e al figlio Giovanni. Un finale aperto, che sembra davvero preludere a un terzo capitolo, mai realizzato, di questa saga risorgimentale.   Cospirazioni di Romagna e Bologna nelle memorie di Federico Comandini e di altri patrioti del tempo, 1831-1857. Con documenti inediti, per cura di Alfredo Comandini, Bologna, Zanichelli, 1899. Collocazione: 5. R. III. 46
image de Federico Comandini, Cospirazioni di Romagna e Bologna (1899)
Federico Comandini, Cospirazioni di Romagna e Bologna (1899)
Due ritratti di Federico Comandini. Quello a sinistra, dipinto nel 1856, mostra quello che possiamo supporre fosse più o meno l’aspetto di Comandini al momento dell’incontro con Gabariol prima descritto, avvenuto nel 1849. Il libro di Comandini è citato da Evangelisti nella bibliografia di Gli anni del coltello come fonte utilissima - pur se di difficile consultazione per la sua struttura complicata e confusa - agli scopi che lui si prefiggeva con i suoi romanzi risorgimentali. Infatti «Contiene centinaia di biografie di nazionalisti italiani, in particolare emiliano-romagnoli» (p. 242), fra i quali molti di quelli citati da Evangelisti e che spesso vengono ignorati da fonti storiografiche più conosciute perché appartenenti alle classi popolari.   Cospirazioni di Romagna e Bologna nelle memorie di Federico Comandini e di altri patrioti del tempo, 1831-1857. Con documenti inediti, per cura di Alfredo Comandini, Bologna, Zanichelli, 1899. Collocazione: 5. R. III. 46
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Felice Orsini
Nel capitolo 19 di Gli anni del coltello, intitolato Ritorno a casa, Gabariol incontra casualmente Felice Orsini, patriota mazziniano che, come molti altri, critica lo stesso Mazzini per la sua «assoluta incapacità sul piano militare» (p. 118). Siamo al termine della fuga da Milano, in una carrozza con la quale arrivano i due insieme a Bologna e prendono alloggio alla «trattoria del Pellegrino, fuori Porta Santo Stefano, una locanda molto frequentata dai sovversivi di passaggio» (p. 119). Gabariol non ha per Orsini particolare simpatia, trovandolo troppo “tiepido” e moderato, così al mattino i due si salutano e procedono su due carrozze diverse. Ma il rapporto fra loro è ambiguo perché Gabariol, meno colto e preparato politicamente, è affascinato dall’altro «che sembrava assomigliare a lui. Avevano entrambi sangue romagnolo, in certa misura si apparentavano. Tuttavia rimarcava una nota falsa nelle parole e negli atteggiamenti del famoso rivoluzionario» (p. 191).   Felice Orsini. Martire dell’Indipendenza Italiana. Collocazione: GDS. Raccolta dei ritratti O, n. 10
image de Don Giovanni Verità
Don Giovanni Verità
Gabariol si rifugia da don Giovanni Verità - parroco di Modigliana famoso per avere nascosto e aiutato anche Garibaldi in fuga - quando si allontana da Faenza nel capitolo 7 e ancora quando (capitolo 9) fugge da Ravenna. Modigliana era un crocevia importante per passare dallo Stato Pontificio al Granducato di Toscana e la casa di don Giovanni Verità «smistava e riparava i patrioti in fuga, i ricercati, i bisognosi d’asilo» (p. 47). Nel suo secondo soggiorno in casa del sacerdote Gabariol incontra Anna Grassetti Zanardi, di cui torneremo a parlare.   Ritratto di Don Giovanni Verità, ritaglio di giornale. GDS. Collezione dei Ritratti, cart. 57, fasc. 90, n. 1   Modigliana - La casa di don Giovanni Verità, ritaglio di giornale. GDS. Collezione dei Ritratti, cart. 57, fasc. 90, n. 3
image de Don Giovanni Verità
Don Giovanni Verità
In quest’immagine vediamo due articoli (qui consultabili a una migliore definizione e all’interno della pagina intera) usciti su «Il resto del Carlino» nei numeri del 26-27 e 27-28 agosto 1906, in occasione dell’inaugurazione del monumento dedicato a don Giovanni Verità a Modigliana. Nel primo dei due articoli, firmato da Alfredo Oriani, viene ricordato come il sacerdote aiutò Garibaldi in fuga, episodio evocato anche nel romanzo di Evangelisti.   Alfredo Oriani, Come Garibaldi fu salvato da Don Giovanni Verità, in «Il resto del Carlino», XXIII, 1906, 26-27 agosto, p. 1. Collocazione: 5. Biogr. ed elogi. Garibaldi. Cart. G8, n. 32   La Romagna per Don Giovanni Verità. L’inaugurazione del monumento a Modigliana, in «Il resto del Carlino», XXIII, 1906, 27-28 agosto, p. 6. Collocazione: 5. Biogr. ed elogi. Garibaldi. Cart. V8, n. 7
image de Giuseppe Petroni
Giuseppe Petroni
Giuseppe Petroni, detto il Canonico, per i mazziniani di Gli anni del coltello è «un rivoluzionario repubblicano ormai quasi leggendario, portavoce accreditato di Mazzini e Saffi, presente da oltre un decennio su ogni barricata» (p. 36). A Bologna è lui che guida le fila dei mazziniani, come spiega Iusfein Marchi a Gabariol: «“L’autentico capo, l’avvocato Giuseppe Petroni, detto il Gobbo perché, poveretto, ha una spalla più alta che lo fa apparire stortignaccolo, o anche il Canonico, è a Roma in missione”» (p. 147). Nel capitolo 28, intitolato Breve quiete, Gabariol viene a sapere dell’arresto di Petroni, come sempre accompagnato dai suoi appellativi di Canonico e Gobbo, «perché è mezzo storpio» (p. 166).   Giuseppe Petroni, n. a Bologna il 25 Febbraio 1812, m. a Terni l’8 Giugno 1888, ritaglio di giornale. Collocazione: GDS. Collezione dei Ritratti, cart. 46, fasc. 15, n. 1
image de Aurelio Saffi
Aurelio Saffi
Nell’immagine precedente è stato citato Aurelio Saffi, triumviro a Roma nel 1849. In Gli anni del coltello (capitolo 29, Pensare e agire) Gabariol, appena nominato da Mazzini «commissario delle centurie per le legazioni del Nord Italia e per i Ducati di Parma e Reggio» (p. 159), riceve un messaggio cifrato che lo esorta a recarsi a Genova:   «Ti saluto, fratello. Nostra madre dà segni di malattia. Non controlla una parte del corpo, che fa quasi vita a sé, come volesse staccarsi. Temo che il clima di Genova non le faccia bene. Ti prego di andare a darle un’occhiata, nell’ambito dei tuoi giri commerciali per il Nord. Ti raccomando di consultare i suoi Medici, prima che decidano un’amputazione. Che si agisca in Concordia. Tuo aff.mo fratel A. PS: Chiedi a Bocchi il documento che ti serve» (p. 172).   Gabariol ipotizza che A., il firmatario del biglietto, sia Aurelio Saffi, che è identificato da tutti come il portavoce di Mazzini, a volte anche in maniera poco benevola, come quando Orsini, parlando dei due, dice con disprezzo «Lui e il suo chierichetto» (p. 190).   Aurelio Saffi - Triunviro della Repubblica romana 1849. Collocazione: GDS. Raccolta dei ritratti S, n. 3
image de Carlo Pisacane
Carlo Pisacane
A Genova Gabariol va a trovare due volte Carlo Pisacane, ritiratosi in miseria in una casetta di campagna insieme alla moglie, anch’essa patriota e combattente a Roma nel 1849. Il primo incontro, non troppo amichevole a causa delle critiche di Pisacane a Mazzini, eccessive per un fedelissimo come Gabariol, si trova nel capitolo 31 che ha il significativo titolo Un uomo serio, naturalmente riferito al patriota genovese. Il secondo incontro si verifica prima della partenza del forlivese da Genova (capitolo 33) ed è più cordiale perché Pisacane sembra essersi in parte riconciliato con le idee mazziniane, grazie ad alcune parole scritte dall’Apostolo in un opuscolo.   Carlo Pisacane. Martire dell’Indipendenza Italiana. Collocazione: GDS. Raccolta dei ritratti P, n. 68
image de Carlo Pisacane, Guerra combattuta in Italia negli anni 1848-49 (1851)
Carlo Pisacane, Guerra combattuta in Italia negli anni 1848-49 (1851)
Nel periodo trascorso a Genova, fra il primo e il secondo incontro con Pisacane, Gabariol incappa ancora una volta per caso in Felice Orsini. Se a Pisacane Evangelisti dedica il capitolo Un uomo serio, a Orsini ne dedica uno, il 32, intitolato Un uomo serissimo. Orsini parla al forlivese di un libro di Pisacane, La guerra combattuta, e lo commenta così:   «“Pisacane ha ragione quando accusa Mazzini e i suoi fedeli di incapacità militare. Ha torto nell’affidare le speranze d’Italia a un sollevamento spontaneo. Il ’48-49 è passato, siamo alla fine del ’53. Non si può infilare un tentativo insurrezionale dietro l’altro. A furia di fallimenti la gente si stufa. Perde fiducia e vigore”» (p. 190).   Evangelisti mette in luce le forti divisioni fra le linee di condotta dei diversi patrioti, che il pubblico non specialista è invece forse abituato a vedere in maniera uniforme e indistinta.   Carlo Pisacane, Guerra combattuta in Italia negli anni 1848-49, Genova, G. Pavesi, 1851. Collocazione: VENTURINI A. 2781 Cliccare qui per consultare la prefazione del volume.
image de Lajos Kossuth
Lajos Kossuth
Abbiamo già citato in precedenza Lajos Kossuth (per gli italiani Luigi), compagno di esilio di Mazzini a Londra, e lo abbiamo visto ritratto in giovane età insieme allo stesso Mazzini e a Ledru Rollin. In questo ritratto fotografico lo vediamo invece in età più matura.   Luigi Kossuth, fotografia. Collocazione: GDS. Collezione dei Ritratti, cart. 31, fasc. 67, n. 1
image de Leo Pollini, Mazzini e la rivolta milanese del 6 febbraio 1853 (1930)
Leo Pollini, Mazzini e la rivolta milanese del 6 febbraio 1853 (1930)
Uno degli episodi raccontati con maggiore dovizia di particolari in Gli anni del coltello è la fallita insurrezione milanese del 6 febbraio 1853, alla quale Gabariol partecipa. Organizzata in maniera approssimativa e con mezzi e armamenti insufficienti, si configura ben presto come una pallida parodia delle gloriose Cinque Giornate che la città meneghina aveva vissuto nel 1848. Questo fallimentare tentativo insurrezionale diventa anche l’esemplificazione più chiara dei motivi per cui molti mazziniani prendono le distanze dalla loro guida, accusandolo - come abbiamo visto fare da Orsini e Pisacane - di non avere la minima preparazione militare e nessuna strategia di lungo termine, confidando troppo in questi tentativi sporadici e votati all’insuccesso. In seguito agli episodi del 6 febbraio Gabariol è costretto a fuggire da Milano per riparare a Bologna, dove in realtà le cose non andranno meglio. La “rivoluzione” programmata per il 29 agosto di quello stesso anno non viene neanche tentata perché il gruppo dei patrioti viene tradito e in gran parte incarcerato ancor prima della data fatidica. Questo libro di Leo Pollini racconta gli eventi milanesi e presenta alcune belle illustrazioni che andiamo a vedere nelle immagini successive.   Leo Pollini, Mazzini e la rivolta milanese del 6 febbraio 1853, Milano, La famiglia Meneghina, 1930. Collocazione: VENTURINI A. 956
image de Leo Pollini, Mazzini e la rivolta milanese del 6 febbraio 1853 (1930)
Leo Pollini, Mazzini e la rivolta milanese del 6 febbraio 1853 (1930)
Piazza del Duomo.   Leo Pollini, Mazzini e la rivolta milanese del 6 febbraio 1853, Milano, La famiglia Meneghina, 1930. Collocazione: VENTURINI A. 956
image de Leo Pollini, Mazzini e la rivolta milanese del 6 febbraio 1853 (1930)
Leo Pollini, Mazzini e la rivolta milanese del 6 febbraio 1853 (1930)
A sinistra Giuseppe Polti De Bianchi, inviato da Mazzini a Milano come commissario politico per guidare la rivolta, insieme a Eugenio Brizi, commissario militare. Evangelisti però nel romanzo scrive Enrico Brizi: un gioco per richiamare il collega scrittore Brizzi o una svista? A destra una delle tante osterie milanesi. Sull’importanza delle osterie in questi romanzi - che fa il paio con il ruolo che questi locali hanno anche nella trilogia Il Sole dell’Avvenire - ci soffermeremo più avanti.   Leo Pollini, Mazzini e la rivolta milanese del 6 febbraio 1853, Milano, La famiglia Meneghina, 1930. Collocazione: VENTURINI A. 956
image de Leo Pollini, Mazzini e la rivolta milanese del 6 febbraio 1853 (1930)
Leo Pollini, Mazzini e la rivolta milanese del 6 febbraio 1853 (1930)
Nell’immagine uno dei biglietti del Prestito Nazionale Italiano istituito da Mazzini con cui i suoi seguaci pagano i loro debiti, ben sapendo che in realtà non hanno nessun valore.   Leo Pollini, Mazzini e la rivolta milanese del 6 febbraio 1853, Milano, La famiglia Meneghina, 1930. Collocazione: VENTURINI A. 956
image de Leo Pollini, Mazzini e la rivolta milanese del 6 febbraio 1853 (1930)
Leo Pollini, Mazzini e la rivolta milanese del 6 febbraio 1853 (1930)
Veduta esterna di Porta Romana.   Leo Pollini, Mazzini e la rivolta milanese del 6 febbraio 1853, Milano, La famiglia Meneghina, 1930. Collocazione: VENTURINI A. 956
image de Iusféin Marchi
Iusféin Marchi
Abbiamo accennato in precedenza all’insurrezione bolognese programmata per il 29 agosto 1853 e mai avvenuta a causa di una delazione che portò all’arresto preventivo dei rivoluzionari. Gabariol li frequenta (capitoli 24-26) e, pur dubbioso, partecipa alla preparazione di questa rivolta, tanto che deve scappare in maniera avventurosa sui tetti bolognesi per non essere arrestato. Anima del fallito tentativo insurrezionale è l’ebanista Giuseppe Marchi, detto Iusféin, rivoluzionario istrionico che risulta molto simpatico a Gabariol pur sembrandogli «un matto» (p. 146). Marchi - che aveva combattuto l’8 agosto 1848 e che parteciperà in seguito a molti altri episodi rivoluzionari, tanto da morire in esilio ad Alessandria d’Egitto - era anche poeta dialettale, come dimostra l’opuscolo che qui presentiamo e che può essere letto integramente online.   Giuseppe (Iusféin) Marchi, Puc vers in dialétt d'un uperari bulgnèis che n'sa nè lézer nè scriver stampà a prufètt del scol dl’infanzia, Bulògna, dalla stamparì dèl Sass in tel Spadarì, 1848. Collocazione: Scritt. bologn. filol. Compon. in dialetto bolognese. Cart. I, n. 26
image de Giuseppe Maria Mitelli, Gioco nuovo di tutte l'osterie (1712)
Giuseppe Maria Mitelli, Gioco nuovo di tutte l'osterie (1712)
In Gli sbirri alla lanterna, nei romanzi risorgimentali e nella trilogia Il Sole dell’Avvenire le osterie sono «i principali centri di discussione politica» (Luca Cangianti, Il valore delle battaglie perse, in L’insurrezione immaginaria. Valerio Evangelisti autore, militante e teorico della paraletteratura, a cura di Sandro Moiso e Alberto Sebastiani, p. 15-31: 26). Per Evangelisti è però importante sottolineare - coerentemente con la sua visione della lotta risorgimentale - che la storia fatta nelle osterie è stata in gran parte dimenticata, insieme ai suoi avventori, dalla storiografia ufficiale. Si legga questo passo dal capitolo 12 di 1849. I guerrieri della libertà:    «Ciceruacchio allargò le braccia. “La rivoluzione, a Roma, è fatta da gente del genere: artigiani, bottegai, lenoni, malviventi, sgualdrine, disoccupati, manovali, artisti. Chi potrebbe odiare il clero più di loro? Inoltre pescivendoli, conciatori, vetturini, garzoni, cenciaioli. Eppure stanne sicuro, i futuri libri di storia non ne faranno parola”. “Perché?” “Perché chi li scriverà non avrà mai cospirato in un’osteria, come stiamo facendo adesso. A Roma è nelle osterie che si costruisce il futuro [...]”» (p. 78).   Quello che Ciceruacchio afferma per Roma potrebbe essere applicato a molte delle altre città in cui Gabariol soggiorna e potrebbe essere esteso nel tempo ad altri episodi precedenti - quelli descritti in Gli sbirri alla lanterna - e successivi - la trilogia Il Sole dell’Avvenire. A proposito di Bologna, per mostrare quale fosse l’importanza delle osterie nel tessuto sociale della città già nel secolo XVIII, non si può omettere la citazione di questa incisione di Giuseppe Maria Mitelli stampata nel 1712. Si tratta di un vero e proprio gioco dell’oca «composto di 59 caselle disposte su 6 ordini, in ciascuna delle quali è indicata un’osteria con la sua ubicazione, l’insegna e la specialità che vi si serve (eccezion fatta per le due caselle che costituiscono, rispettivamente, una sosta forzata e un rinvio all’inizio del gioco: la 36 e la 44)» (Giuseppe Maria Mitelli, Insegne delle osterie di Bologna in una serie di incisioni di Giuseppe Maria Mitelli, presentazione e testi di Athos Vianelli, p. 15-16).   Cliccare qui per vedere l’immagine a una migliore risoluzione. Giuseppe Maria Mitelli, Gioco Nvovo Di Tvtte L'Osterie, Che Sono In Bologna, Con Le Sve Insegne E Sve Strade; Qval'E' Qvasi Simile A' Qvello Dell'Ocha; E Tvtti Li Giocatori Potranno Farsi Vna Bvona Cena, Se Havranno Denari : Si Gioca con due Dadi [...] quello che si fermerà con il Segno, tirarà un quattrino dal gioco, acquaforte, 1712. Collocazione: GDS. Goz.1/I 116
image de Domenico Maria Galeati - Osterie di Bologna
Domenico Maria Galeati - Osterie di Bologna
Questo manoscritto, in cui Domenico Maria Galeati descrive i luoghi importanti di Bologna, contiene anche un elenco di quelle che erano le principali osterie di Bologna nel 1712, anno della stampa del gioco dell‘oca di Mitelli. Vi vengono segnalate quelle ancora aperte nel 1780.   Palazzi, e Case Nobili della Città di Bologna da chi Possedute anticamente ed in Oggi per quanto si è potuto sapere, e ricavare da Instrumenti, da Istorie, e da altre Notizie, e dello stato presente sino all’anno MDCCLXXI. Descritti da Domenico Maria di Andrea Galeati: Con Appendice. Collocazione: BCABo, ms. B 93.
image de Franco Di Bella, Storia della tortura (1961)
Franco Di Bella, Storia della tortura (1961)
L’immagine a sinistra, intitolata Gli orrori dell’Inquisizione, ci ricorda come il tema della tortura fosse già presente nel Ciclo di Eymerich. A destra la tortura della sospensione alla corda, già vista nel manoscritto di Guidicini sui costumi scomparsi nel 1796, che qui viene indicata come prevista dalle norme penali di Maria Teresa del 1769.   Franco Di Bella, Storia della tortura, Milano Sugar, 1961. Collocazione: 5. A. IV. 53
image de Regolamento per gli esercizi soggetti a licenza della Polizia (1851)
Regolamento per gli esercizi soggetti a licenza della Polizia (1851)
Il presente regolamento (qui consultabile a una migliore risoluzione) mostra, attraverso la severità delle disposizioni impartite, il timore che le autorità avevano di osterie e altri locali di ritrovo, possibili fucine di sedizioni popolari e quindi costantemente tenute sotto osservazione. In particolare si noti, al punto 20, che osterie e bettole non potevano aumentare di numero. Sono inoltre presenti numerose indicazioni sulla conformazione dei locali, che non potevano avere luoghi “nascosti” e sotterranei, difficili da sorvegliare. A leggere i romanzi di Evangelisti, pieni di osterie con stanze separate e sottratte allo sguardo delle forze di polizia, viene da pensare che questi regolamenti venivano spesso aggirati nella pratica quotidiana.   [G. Bedini], Regolamento per gli esercizi soggetti a licenza della polizia, Bologna, tip. alla Volpe, [1851?]. Collocazione: 17-CIV.POL. ECONOMIA. G 03, 039
image de Franco Di Bella, Storia della tortura
Franco Di Bella, Storia della tortura
Un tema spesso evidenziato in Gli anni del coltello è quello della crudeltà delle forze dell’ordine, in particolare austriache, e della violenza esercitata sui prigionieri, regolarmente sottoposti a tortura per estorcere segreti e confessioni, se non per puro sadismo. Particolarmente crude sono le pagine che nel capitolo 13, I commissari, descrivono le torture subite da Anna Grassetti Zanardi, patriota bolognese che conquista Gabariol col coraggio più che con la bellezza. Questa le descrizione che Evangelisti dà dei metodi di tortura austriaci:   «In ogni prigione austriaca esisteva una stanzetta con un rudimentale lettino. Il prigioniero veniva fatto spogliare, incatenato al giaciglio a pancia in giù e nascosto da una coperta, che avrebbe assorbito il sangue. L’ufficiale interrogante ordinava a un soldato, armato di bastone o di sferza, quanti colpi infliggere. Si facevano delle pause per raccogliere eventuali confessioni. In media le bastonate, assestate a piena forza, erano una ventina al giorno, ma si poteva arrivare a cento e passa. C’era chi non aveva resistito a tanto dolore, inflitto con cadenza quotidiana. Alcuni erano morti suicidi, altri impazziti. Pochi avevano confessato o sparato denunce a caso» (p. 83).   Anna, in quanto donna, è stata percossa solo sulle braccia, che da quel momento fatica ad usare. Non ha confessato nulla. Un ritratto della contessa Grassetti Zanardi, che può essere letto online,  si trova nell’articolo di Aldo Berselli I mazziniani a Bologna dall'8 maggio 1849 al 6 febbraio 1853, p. 7-12 Vediamo qui la Storia della tortura di Franco Di Bella del 1961, ripubblicata da Odoya nel 2008 con un nuovo apparato iconografico.   Franco Di Bella, Storia della tortura, Milano Sugar, 1961. Collocazione: 5. A. IV. 53   Franco Di Bella, Storia della tortura, Bologna, Odoya, 2008. Collocazione: ARPE-BO B. 2140  
image de Hans Barth, Osteria (1908 e 1912)
Hans Barth, Osteria (1908 e 1912)
Questa opera di Hans Barth, uscita in prima edizione tedesca nel 1908 e poi in numerose edizioni italiane impreziosite dalla prefazione di Gabriele D’Annunzio, «per la lunga fortuna critica [...] è il libro che inaugura la letteratura di viaggio enogastronomico» (Claudia Mancini, Hans Barth e le osterie italiane. La prima invasione barbarica nell’enogastronomia italiana, «La Biblioteca di via Senato», XII, 2020, n. 4, p. 10-15: 11).   Hans Barth, Osteria. Kulturgeschichtlicher Führer durch Italiens Schenken von Verona bis Capri, Stuttgart, Iulius Hoffmann Verlag, 1908. Collocazione: 18*. L. V. 26   Hans Barth, Osteria. Guida spirituale delle Osterie italiane da Verona a Capri, Roma, Enrico Voghera Editore, s.d. Collocazione: 18* L. IV. 23
image de Traité ... des peines, chatiments, tortures (1912)
Traité ... des peines, chatiments, tortures (1912)
In questa e nelle prossime immagini, alcuni fra i più diffusi metodi di tortura spiegati e illustrati in un trattato del 1912.   Traité chronologique & descriptif des peines, châtiments, tortures, supplices, question ordinaire & extraordinaire. Ordonnés par les lois depuis l'antiquité jusqu'à nos jours, Paris, Librairie franco-anglaise, 1912. Collocazione: VENTURINI A. 1979  
image de Traité ... des peines, chatiments, tortures (1912)
Traité ... des peines, chatiments, tortures (1912)
  Traité chronologique & descriptif des peines, châtiments, tortures, supplices, question ordinaire & extraordinaire. Ordonnés par les lois depuis l'antiquité jusqu'à nos jours, Paris, Librairie franco-anglaise, 1912. Collocazione: VENTURINI A. 1979
image de Traité ... des peines, chatiments, tortures (1912)
Traité ... des peines, chatiments, tortures (1912)
  Traité chronologique & descriptif des peines, châtiments, tortures, supplices, question ordinaire & extraordinaire. Ordonnés par les lois depuis l'antiquité jusqu'à nos jours, Paris, Librairie franco-anglaise, 1912. Collocazione: VENTURINI A. 1979
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Traité ... des peines, chatiments, tortures (1912)
  Traité chronologique & descriptif des peines, châtiments, tortures, supplices, question ordinaire & extraordinaire. Ordonnés par les lois depuis l'antiquité jusqu'à nos jours, Paris, Librairie franco-anglaise, 1912. Collocazione: VENTURINI A. 1979
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In morte di Giuseppe Mazzini
Giuseppe Mazzini è il punto di riferimento indiscusso di Gabariol e lo rimane anche quando l’Apostolo comincia ad essere criticato dai suoi stessi seguaci. Non possiamo che chiudere questa gallery con alcune immagini relative alla scomparsa del patriota italiano. In questa Mazzini viene ritratto proprio sul letto di morte.   Gius. Mazzini. Collocazione: GDS. Collezione dei Ritratti, cart. 38, fasc. 63, n. 5
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In morte di Giuseppe Mazzini
Vediamo qui un’illusrtrazione comparsa sul periodico «L’Epoca» per celebrare il decimo anniversario di morte di Giuseppe Mazzini.   Giuseppe Mazzini. Da una fotografia dei signori Caldesi, Blanford e C. di Londra, ritaglio di giornale. Collocazione: GDS. Collezione dei Ritratti, cart. 38, fasc. 63, n. 52    
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In morte di Giuseppe Mazzini - Ricordo di Giosuè Carducci
In occasione della morte di Giuseppe Mazzini, Giosuè Carducci lo celebra in questo testo realizzato «A beneficio del Comitato Elettorale Repubblicano dei Collegi di Forlì».   Giuseppe Mazzini. Collocazione: GDS. Collezione dei Ritratti, cart. 38, fasc. 63, n. 51  
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