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Comune di Bologna

Album "Il pendolo di Foucault"

In questa gallery raccogliamo documenti che illustrano la genesi e la vita editoriale del secondo romanzo di Umberto Eco, Il pendolo di Foucault (Bompiani, 1988), che fanno riferimento ai temi trattati nell’opera o hanno fornito una base informativa per l’autore. 

Questa non vuole essere un’analisi scientifica ed esaustiva di fonti e documenti utilizzati dall’autore né tantomeno un’interpretazione critica.

Quello che qui proponiamo è il resoconto di un’esperienza di lettura e di ricerca nel patrimonio della nostra biblioteca (con alcune escursioni su altre raccolte documentarie). Non c’è quindi nessuna pretesa di una presentazione esaustiva dei molti argomenti e dei molti materiali che il romanzo potrebbe suggerire, ma la volontà di compiere una scelta sulla base di motivazioni anche episodiche e dettate dall’interesse dei lettori e dalle discussioni che il gruppo di lettura ha sostenuto negli incontri precedenti.

Consci di non incarnare il Lettore Modello presupposto dal testo, del testo faremo un uso specifico piuttosto che darne un’interpretazione, secondo la distinzione posta dallo stesso autore in Lector in fabula (paragrafo 3.4, Uso e interpretazione, p. 59-60).

L’indicazione delle pagine del romanzo citate si riferisce alla prima edizione, pubblicata nel 1988 dall’editore Bompiani. De Il pendolo di Foucault sono comunque sempre indicati anche i capitoli da cui sono tratte le citazioni, per facilitarne l’individuazione in altre edizioni.

I documenti utilizzati sono quasi totalmente conservati e consultabili presso la Biblioteca dell’Archiginnasio di Bologna. Salvo dove diversamente specificato la collocazione indicata è quindi relativa a questa biblioteca.

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prec succ tutti
Pietro Mainardi, Opusculum raymundinum de auditu kabbalistico (1518)
Contenuto inserito il 10 giu 2025 — Ultimo aggiornamento il 17 giu 2025

Pietro Mainardi, Opusculum raymundinum de auditu kabbalistico (1518)

Il pendolo di Foucault è un romanzo in cui l’aspetto tecnologico finisce programmaticamente per intrecciarsi con quello magico-esoterico, secondo le abitudini dei diversi gruppi di “diabolici” incontrati dai protagonisti e portando avanti - per criticarle - le modalità di ragionamento e comportamento delle diverse sette, logge, gruppi segreti di cui si scopre l’esistenza nel passato come nel presente. Finora ci siamo attenuti a oggetti tecnologici, è venuto il momento di osservare l’altro campo d’azione del romanzo.

La Qabbalah ebraica era entrata in questo “grande gioco” di fraintendimento e banalizzazione fin dai secoli medioevali. Senza entrare nel dettaglio dell’argomento, proponiamo un’opera erroneamente attribuita a Raimondo Lullo - già incontrato ne Il nome della rosa e anche nei romanzi di Evangelisti come antagonista di Eymerich - ma scritta invece da Pietro Mainardi (sulla questione dell’attribuzione e per un’analisi approfondita si veda Paola Zambelli, Il «De auditu kabbalistico» e la tradizione lulliana nel Rinascimento, «Atti e memorie dell’Accademia toscana di scienze e lettere La Colombaria», XXX (n.s. XIV), 1965, p. 113-247).

Il testo è stato erroneamente attribuito a Lullo in quanto maestro di quell’arte combinatoria per la quale è ricordato anche nel Pendolo (cap. 88, p. 371).

Sfogliando anche solo le poche pagine che riproducono le figure presenti nel testo - e adottando la mentalità dei “diabolici” (e del trio Belbo-Casaubon-Diotallevi che gioca a costruire il Piano) - è facile capire che si prestano a suggerire una catena di ragionamenti pseudo-logici capaci di creare una dimensione magico-esoterica. Fra le varie pagine proposte si possono vedere combinazioni di lettere che ricordano sia i procedimenti della Qabbalah ebraica più volte ricordati da Diotallevi, sia i tentativi di Casaubon di scovare la password di Abulafia - l’oggetto che più di tutti riunisce in sé tecnologia e magia - sia, infine, le combinazioni di versi che Balestrini e il suo calcolatore analizzano in Tape Mark I.

Queste ruote con lettere - che rimandano anche alle rotule tratte dal Clavis Steganographiae di Tritemio con cui Eco illustra due passaggi del romanzo (cap. 19, p. 110 e cap. 106, p. 423) - erano un oggetto capace di generare combinazioni alfabetiche come Abulafia. Dovevano infatti essere ritagliate e “montate” in modo da formare tre cerchi concentrici (come in questo esempio relativo a un’opera di Lullo) che ruotando davano origine a numerose combinazioni di lettere, secondo le istruzioni fornite nelle pagine del testo.

Su questi temi si veda Umberto Eco, Cabalismo, lullismo, scritture segrete.

 

Pietro Mainardi, Opusculum raymundinum de auditu kabbalistico, Venezia, Bernardino Vitali, 1518.

Collocazione: 9. OO. I. 18

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